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Sempre più poveri, sempre più brutti, sempre più inutili. I giornali italiani sono in caduta libera. Crisi di vendite, di “prodotto” e, ovviamente, di inserzioni pubblicitarie. Con le redazioni che si assottigliano e i giornalisti che vengono pagati sempre meno. E se è vero che le difficoltà della carta stampata sono planetarie, è altrettanto vero che la situazione italiana è peggiore di quella della maggior parte dei Paesi occidentali.

Giornali italiani, Edicola chiusa a piazza Pio XI a Roma

Edicola chiusa a piazza Pio XI a Roma

Per avere l’idea della situazione, basta guardarsi attorno e osservare la rarefazione delle edicole. Quelle che sono ancora aperte, riescono a resistere solo perché ormai vendono di tutto. Per reagire alla costante perdita di copie gli editori, però, non trovano nulla di meglio che tagliare, tagliare, tagliare. E così la maggior parte dei giornali è diventata illeggibile.

In prima pagina trovi sempre e soltanto le “notizie” con cui la sera prima hanno aperto i telegiornali, che poi sono in gran parte veline prodotte dagli uffici stampa. Nessun tentativo di andare oltre, di raccontare il Paese, quello vero. Inchieste nemmeno a parlarne. Interviste spesso al limite del ridicolo, dove il personaggio non viene mai messo in difficoltà. E così capita di legge domande tipo: «Che cosa ha provato lei quando…».

Di conseguenza vengono pubblicate anche risposte ridicole, come quella della scrittrice: «Se non scrivo mi annoio», il che dovrebbe spingere un comune lettore a reagire con un «e chi se ne frega…» e a voltare pagina. Invece quel «se non scrivo mi annoio» è diventato addirittura il titolo dell’articolo, o, meglio, della marchetta letteraria confezionata dall’ufficio stampa della casa editrice.  

I giornali, compresi quelli che una volta erano “i giornaloni” sono spesso fatti male anche tecnicamente. Si leggono titoli che una volta non sarebbero stati fatti nemmeno da uno stagista capitato per caso in redazione. Ovvietà tipo: «L’energia termica serve». «Unità e coraggio per ripartire». «Bisogna pensare al futuro». «La polizia indaga».

giornali italiani, Raffaella Carrà ai tempi del Tuca Tuca

Raffaella Carrà ai tempi del Tuca Tuca

Se la carta stampata piange, l’informazione televisiva non ride. I tg delle 20 sembrano fatti con la stampino. Tutti uguali. Con la retorica che scorre a fiumi per ogni defunto eccellente. Basti pensare a quello che è appena andato in onda in seguito alla scomparsa di un’icona pop come Raffaella Carrà.

Ma i notiziari Rai, hanno spesso qualcosa che li distingue, un marchio di fabbrica che il sevizio pubblico radiotelevisivo ha nel suo Dna: la sudditanza verso il potere, il governo di turno e i leader politici che contano.

Se poi il servizio è sul Papa o sul presidente della Repubblica non ci sono limiti. E così il ricovero del Pontefice in ospedale per un intervento chirurgico quasi normale, vista l’età e il quadro clinico, è stato titolato con un sobrio «Tutto il mondo in ansia per Papa Francesco». Mentre una mostra d’arte moderna voluta da Mattarella ha spinto l’entusiasta cronista di Rai News 24 a definire il Quirinale «la casa degli italiani»…