Prescrizione, una mina disinnescata. Almeno per ora. Di Maio (vicino a Grillo) e Crimi (accanto a Conte) hanno fatto a gara per annunciare l’intesa tra i diarchi. L’ex capo e il reggente del M5S hanno comunicato il tormentato accordo nel pomeriggio di domenica 11 luglio durante l’assemblea dei parlamentari cinquestelle.
Di Maio ha inviato su Internet un commento liberatorio: c’è l’accordo tra Grillo e Conte per «dare il via al nuovo corso», è la via «nel dialogo e nella mediazione, invece che nello scontro e nella polemica». Crimi ha annunciato le prossime elezioni per il nuovo statuto e per scegliere il presidente. Pochi i particolari sull’intesa. Il reggente, leggendo all’assemblea dei parlamentari un messaggio comune di Grillo e Conte, ha scandito: «Il MoVimento si dota di nuovi ed efficaci strumenti proiettando al 2050 i suoi valori identitari e la sua vocazione innovativa».
Un fatto è certo: si allontana il fantasma della scissione. Con una decina di giorni di travagliate trattative Grillo e Conte hanno evitato una rottura definitiva da molti data per scontata dopo reciproci, sanguinosi attacchi. Il primo aveva stroncato il secondo con giudizi pesantissimi («non ha né visione politica né capacità manageriali»). Il capo in pectore pentastellato, proposto a questo incarico proprio dal garante, aveva replicato con accuse ugualmente bellicose (Grillo ha scelto di «essere il padre padrone della sua creatura»).
Di fatto lo scontro senza quartiere era ed è soprattutto su chi comanda: Giuseppe Conte (il futuro capo formale mai iscritto al M5S) o Beppe Grillo (il fondatore e da sempre guida reale del Movimento). C’è stata la svolta. Il futuro presidente, non più capo dei cinquestelle, avrà riconosciuti i pieni poteri nel nuovo statuto: «Il presidente del Movimento è l’unico titolare e responsabile della determinazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico». Grillo rimarrà garante ma questa novità sui poteri del presidente, carica alla quale è candidato Conte, ha scongiurato la rottura totale. L’”avvocato del popolo” è rimasto soddisfatto.
Il comico genovese ha dimostrato di avere ancora in pugno i grillini nei passaggi politici chiave. Per quanto molto “ammaccato” negli ultimi tempi dalle disfatte elettorali e dalle vicende giudiziarie di suo figlio Ciro è stato lui a pilotare, superando duri contrasti, svolte clamorose, anni fa impensabili: il sì nel 2019 al governo Conte due con il Pd; il sostegno a febbraio all’esecutivo di unità nazionale presieduto da Draghi (sdoganò l’antico avversario simbolo delle èlite tecnocratiche definendolo «un grillino»).
Quando c’è un problema serio di governo da risolvere Mario Draghi parla con Grillo e non con Conte. Così è accaduto per i forti contrasti sorti sulla riforma del diritto penale e, in particolare, sulla prescrizione da rivedere. Il presidente del Consiglio ha parlato al telefono con il garante pentastellato chiedendo di mobilitarsi per arrivare a una soluzione. Grillo ha parlato con i ministri cinquestelle e nel Consiglio dei ministri dell’8 luglio è spuntata la difficile mediazione. Conte ha contestato l’intesa («non sono sorridente sull’aspetto della prescrizione»), l’ala oltranzista cinquestelle ostile all’esecutivo Draghi gli ha dato ragione ma la riforma è passata all’unanimità in Consiglio dei ministri.
Grillo ha vinto il braccio di ferro con Conte. È diventato anche il garante di Draghi. L’ex presidente del Consiglio ha promesso battaglia in Parlamento sulla riforma. Si vedrà. In realtà né Conte né Grillo vogliono una crisi di governo, temono possibili elezioni anticipate perché decreterebbero la disintegrazione del Movimento già in avanzato stato di sfaldamento.