Chiamatela coincidenza, congiunzione astrale, causalità, sincronismo. Noi italiani lo sappiamo bene: per far vincere alla nostra Nazionale un trofeo prestigioso deve accadere qualcosa di grosso, di imprevisto, di insolito, di straordinario. Qualcosa che sconvolge, travolge e stravolge. Qualcosa che, senza mezzi termini, segni la storia e imponga, di fatto, un nuovo inizio.
La parola è: rivoluzione. Facile come un’equazione: Italia: Campione=Rivoluzione: X. Non andando troppo indietro nel tempo fino alle conquiste mondiali “in camicia nera” del 1934 e 1938 e all’oro Olimpico del 1936, anch’esse maturate in un periodo storico caratterizzato da profondissimi stravolgimenti politici, economici e sociali sfociati, poi, nella Seconda Guerra Mondiale, potremmo concentrarci, in primis, sul 1982 e sul 2006, le nostre due ultime vittorie in un Campionato del Mondo.
Date cruciali. Veri e propri punti di svolta, chiavi di volta per il calcio italiano che rischiava di essere messo in ginocchio, da scandali clamorosi, sciagurati e senza precedenti: da una parte il Calcio scommesse o Totonero orchestrato, alla bella e meglio, tra un piatto di spigola al sale ed un calice di
champagne, dai due faccendieri Massimo Cruciani e Alvaro Trinca con la collaborazione di importanti calciatori di Serie A, dall’altra Calciopoli, il “sistema” perfetto di connivenze e rapporti ultraprivilegiati tra società e mondo arbitrale organizzato da Luciano Moggi, allora direttore generale della Juventus.
In entrambi i casi l’opinione pubblica italiana venne scossa e scombussolata da una tempesta di fango che sozzava con una violenza senza precedenti, la parte più nobile e romantica del gioco: quella che vive di passione pura, di tifo incondizionato, di sacrifici quotidiani per seguire la propria squadra.
Ora, venire a conoscenza che molte partite erano truccate, addirittura dalla viva voce dei propri beniamini, poteva avere un effetto, davvero, devastante e definitivo. Ricordate la copertina del mitico Guerin Sportivo diretto da Italo Cucci? Un giocatore di cui non si vede il viso con una palla di piombo legata alla caviglia e il titolo inequivocabile a caratteri cubitali: hanno arrestato il calcio.
Come dire, sono tutti colpevoli. In primo grado e senza appello. E adesso andatelo voi a dire ai milioni di appassionati che ogni giorno litigano e si azzuffano nei bar, per un rigore dato o non dato, che le partite sono già accomodate e truccate a tavolino. Che Giordano, Manfredonia, Albertosi, Savoldi, Damiani hanno commesso solo un errore di leggerezza dovuto alla gioventù.
Furono mesi complicati, di riflessione, di imbarazzo, di penitenza. Di vergogna assoluta. Alla gogna finiva una categoria di giovani miliardari e privilegiati che ora, oltre all’invidia, suscitavano anche sdegno e disprezzo. Da eroi a farabutti in pochi giorni. Una vera rivoluzione, eh sì. L’equazione poteva avverarsi. E lo fece materializzandosi nella pipa di Enzo Bearzot, nell’urlo di Marco Tardelli, nelle serpentine di Bruno Conti e soprattutto nei gol di Paolo Rossi.
Da “Armata Brancazot” a “Eroi Mundial”. E così, risorgiamo: “Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo”. L’onore era salvo, ma che paura.
E che paura anche in quel maggio del 2006, quando radio e televisioni cominciarono a trasmettere senza sosta le sconcertanti intercettazioni della “triade bianconera” Moggi, Giraudo, Bettega con dirigenti societari, arbitri professionisti e addirittura vertici federali.
Per fortuna, questa volta i giocatori non c’entravano proprio nulla. Ma finiva nel mirino della procura mezza Serie A, con Juventus, Milan, Lazio, Fiorentina e Inter in primis chiamate d’urgenza in tribunale per rispondere di accuse gravissime e pesantissime.
Molti intellettuali e pseudo giornalisti chiesero al commissario federale Guido Rossi di ritirare la Nazionale e non farla partire per i Mondiali in Germania. Bisognava dare un segnale forte e chiaro.
Gli italiani avrebbero capito.
E poi: cartolina da Berlino. Mittente: gli Azzurri. Destinatario: Italia. Cari signori, alla fine siamo partiti, tra fischi e grida di ilarità, e come regalo, da Berlino, non vi abbiamo portato il solito souvenir turistico ma la Coppa del Mondo. Mancava, in bacheca, da ben 24 anni. E tanti saluti a tutti.
Ma passiamo ai giorni nostri: sapete da quanto tempo la nostra Nazionale non vinceva la Coppa Europa? Da ben 53 anni. Eh sì, proprio dal 1968. Quel fatidico ’68 della contestazione, delle folle oceaniche nelle piazze, degli scontri tra studenti e polizia nelle università, delle occupazioni nelle fabbriche, della disobbedienza civile.
Quello della rivoluzione culturale. Sempre lei, appunto. Volete sapere chi alzò, in quell’anno, la Coppa d’argento, nel cielo di Roma, dopo aver battuto la Jugoslavia? Il nostro capitano Giacinto Facchetti. E chi altrimenti.
Chiamiamolo allora destino, legge dei grandi numeri, ma non vi pare quasi naturale e scontato che dopo il Coronavirus, la più grande epidemia batteriologica dai tempi della Spagnola, che ha causato milioni di morti in tutto il mondo, che ha cambiato, annullato e rivoluzionato il nostro modo di pensare, di essere comunità, di vivere, alla fine in questo 2021, siano stati proprio gli Azzurri a trionfare?
E come stupirci, di conseguenza che la Nazionale di Roberto Mancini abbia trionfato a Wembley, nel tempio del calcio inglese, proprio nello stesso anno in cui con la Brexit la Gran Bretagna (altro fatto storico di grande rilievo) ha abbandonato l’Unione europea?
Addirittura due sconvolgimenti politici e sociali epocali nello stesso anno. Un’occasione ghiotta, davvero troppo ghiotta per noi. Del resto non dimentichiamolo: il nostro bravissimo commissario tecnico, Roberto Mancini, è il cosiddetto uomo nato con la camicia. Da calciatore vinse due storici scudetti entrambi con società, storicamente, non di primissimo livello (Sampdoria e Lazio) grazie alla capacità economica ed imprenditoriale di presidentissimi come Paolo Mantovani e Sergio Cragnotti che difficilmente potranno essere eguagliati.
Da allenatore, poi, all’Inter ha vissuto gli anni d’oro del petroliere miliardario Massimo Moratti, e al Manchester City addirittura è alla corte dello sceicco Mansour, il terzo presidente di calcio più ricco del mondo. Del resto la fortuna non è altro che la bravura che incontra l’opportunità. E di bravura, di classe, di stile il nostro Roberto Mancini ne ha vendere…
Ha preso in mano una Nazionale allo sbando ed in tre anni la ha portata sul tetto d’Europa. Con il merito, con il gioco, con il gruppo. E con un’altra rivoluzione, questa volta tattica. Non più catenaccio all’italiana ma possesso di palla e doppio regista in mezzo al campo per condurre le danze.
Il grande giornalista sportivo Mario Sconcerti sulle pagine del Corriere della Sera plaudiva a questa nuova mentalità coniando un sillogismo di sicuro successo: la Mancinità. A questo punto, chissà, cosa dovremmo aspettarci nel 2022 per tentare di scalare anche la vetta del mondo. Si giocherà in Qatar, tra novembre e dicembre, in pieno deserto, in stadi climatizzati, e con temperature che supereranno i cinquanta gradi.
E allora, questa volta, ci permettiamo noi di fare una piccola rivoluzione e suggerirla al mister azzurro: Zaniolo, Pellegrini, Mancini, Scamacca, Raspadori, Castrovilli.
Ecco una bella “rivoluzione verde” fatta con calciatori giovani, forti, e volenterosi… Sarà, ma questa di rivoluzione ci piace molto, ma molto di più…