Mentre la fondazione di Roma è avvolta nella leggenda di Romolo e Remo, la sua “invenzione” ha un suo autore ben collocato nella Storia e si chiama Ernesto Nathan. Già dal titolo del suo saggio Nathan e l’invenzione di Roma, Fabio Martini conferisce a Nathan un “ruolo” ben preciso nelle vicende della Città eterna.
E invenzione quale «frutto della capacità umana di immaginare una realtà diversa da quella concreta» (cito la Treccani) è un termine appropriato per descrivere in estrema sintesi l’opera di chi, tra il 1907 e il 1913 guidò Roma da primo cittadino reinterpretando in chiave moderna la grandezza di una città che nei secoli era andata affievolendosi, con una vitalità molto al di sotto delle altre capitali europee e una classe dirigente incapace di gestire il cambiamento.
Nathan fu un politico assolutamente “sui generis”, non solo per il suo profilo ma soprattutto per ciò che riuscì a mettere in campo in una manciata di anni. «È passato alla storia come il miglior sindaco di Roma – scrive Fabio Martini – ma si tratta di una nomea ad honorem, di una fama orecchiata» e l’autore ci guida lungo un percorso dove ricostruisce, circostanzia e documenta restituendo a Nathan ciò che fu, ed è ancora, di Nathan. Perché se più di un secolo fa egli fu sicuramente un precursore, oggi rimane un modello, per le sue idee e per come le realizzò.
Di origine inglese, cresciuto in una famiglia ideologicamente e per frequentazione legata a Giuseppe Mazzini, ebreo “laico” e massone, approdò al Campidoglio a 62 anni grazie a un blocco politico eterogeneo che andava dai liberali, repubblicani fino ai radicali e socialisti. Già questo segnava una rottura con il sostanziale immobilismo che distingueva la scena della politica romana che per troppi anni aveva visto la mano pesante del governo centrale nella gestione dell’amministrazione capitolina.
Ora immaginate un sindaco che tanto per cominciare mette nero su bianco il suo programma facendolo precedere da studi di fattibilità, valutazioni economiche e di impatto sociale, come fosse un piano industriale e si affidi a una squadra fatta sì di politici con una forte motivazione ideale, ma di comprovata “competenza” nel settore dove saranno chiamati ad operare. Un pragmatismo e una tenacia che, uniti a una spiccata sensibilità sociale e a uno spirito innovatore, imposero senza retorica scelte ancora oggi ritenute “ardite”: così Nathan riesce a scalfire il monopolio dei privati che gestivano trasporti ed energia creando le società municipalizzate in grado di offrire migliori servizi a costi inferiori, dando priorità alle esigenze del “cittadino consumatore”, chiamato per la prima volta persino ad esprimere il proprio parere con dei referendum.
Queste iniziative “spiazzanti” furono una sua caratteristica e uno dei suoi punti di forza. Il suo deus ex machina, il socialista Giovanni Montemartini (un “assessore all’Innovazione” e siamo nel primo decennio del secolo scorso…) riuscì in una manciata di anni a dotare Roma di una linea tramviaria d’avanguardia. Lo stesso per l’illuminazione pubblica e la fornitura di acqua che resero vivibili interi quartieri a costi ridotti e concorrenziali. Governò la spinta urbanistica della città imponendosi contro gli speculatori e i latifondisti, quei proprietari terrieri che, insieme all’ancora influente potere clericale, troverà sempre in contrapposizione e che alla fine, dopo aspri confronti lo portarono a capitolare. Quando si trattò di costruire lo Stadio Nazionale al Flaminio (oggi non esiste più perché abbattuto nel 1957, dopo aver ospitato nel ’34 la prima finale di Campionati del Mondo di calcio vinti dall’Italia) la giunta Nathan affidò l’incarico al 27enne architetto Marcello Piacentini: budget un milione di lire, portato a termine in due anni, con una spesa di 800 mila lire. Fantascienza, si direbbe oggi.
Lo stesso spirito innovatore e riformista animò Nathan sul tema che si guadagnò la priorità nel suo programma: la scuola. L’istruzione era rimasta un privilegio di pochi e in mano a istituti del clero, Nathan puntò alla sua democratizzazione non solo sul territorio urbano, ma sulle estese comunità rurali intorno alla capitale. Furono aperte scuole e oltre 100 asili, tutti di impostazione laica. E Nathan fu amico e sostenitore di Maria Montessori, che proprio in quegli anni ebbe proprio a Roma l’occasione di mettere a punto il suo metodo, convinto che lo sviluppo e la crescita della città fosse soprattutto nelle mani di chi ne diventerà cittadino consapevole.
Proverbiale quanto lo stesso Nathan scrisse un anno dopo il suo commiato dal Campidoglio in un articolo su Nuova Antologia a proposito del suo mandato (e riportato da Fabio Martini in chiusura del suo libro): «L’amministrazione indicò il punto di partenza, il metodo: ad altri continuare per quella via, affaticarsi a risolverlo, per il bene di Roma e dell’Italia».
Fabio Martini è come ci ricordasse che il “testimone” di Nathan è ancora lì, da prendere, restituendoci un’accurata descrizione delle molte battaglie perse e vinte, della passione e della straordinaria modernità che ancora oggi riesce a stupirci e forse, a farci sognare. Perché “studiare” Nathan sicuramente aiuta a sfatare il mito della “ingovernabilità” di Roma e a ritrovare, apprezzandolo, quel primato della “politica” che Nathan onorò senza trovare proseliti.
Fabio Martini, Nathan e l’invenzione di Roma, il sindaco che cambiò la Città eterna, Marsilio, 2021.