Draghi supplente. Un preside chiede un supplente quando non trova un professore titolare di cattedra. Sergio Mattarella lo scorso febbraio chiamò Mario Draghi perché non riusciva a trovare un presidente del Consiglio capace di affrontare l’emergenza Covid. Draghi supplente ha assolto all’incarico affidatogli dal presidente della Repubblica: ha formato un governo di unità nazionale, la navigazione è travagliata ma va avanti.
Draghi, 73 anni, romano di stile britannico, è uno strano centauro. È un esterno alla politica, è un tecnico, un economista, un banchiere. Non è mai stato eletto in Parlamento, non proviene dalle file di un partito anche se era vicino alla sinistra Dc, corrente De Mita (negli anni Ottanta era nello staff del ministro dell’Economia Goria assieme a Tabacci, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Draghi è un supplente, è il risultato della debolezza dei partiti e del debilitato sistema politico italiano. Eppure è diventato presidente del Consiglio. Certo non è il primo caso: Mario Monti e Giuseppe Conte avevano un analogo deficit di legittimazione popolare. Il presidente del Consiglio si rende conto del problema: la difficoltà di guidare un esecutivo di ex avversari, anzi di ex nemici. Quando il 17 febbraio 2021 chiese il voto di fiducia al Senato per il suo governo di unità nazionale parlò di un ministero generato in «un nuovo inconsueto perimetro di collaborazione». Ma ottenne la fiducia del Parlamento per il suo esecutivo riformista, europeista, atlantista formato da partiti diversissimi: di destra, di sinistra, di centro, riformisti, sovranisti, populisti o ex populisti.
È difficilissimo orizzontarsi, eppure Draghi supplente si orizzonta, e abbastanza bene, nel labirinto politico italiano. Mette in riga Salvini e Conte, gli antichi avversari. Le vaccinazioni di massa anti Coronavirus vanno avanti, la tigre dello “spread” è stata domata, l’economia italiana è in buona ripresa. Non solo: il suo programma di “riforme strutturali” è piaciuto a Bruxelles e stanno cominciando ad arrivare i circa 200 miliardi di euro stanziati dalla commissione europea per la ricostruzione post virus in Italia.
L’ex presidente della Bce e della Banca d’Italia è un uomo molto stimato in Europa e negli Stati Uniti, adesso da Joe Biden e prima perfino dal rude Donald Trump. Nel giugno 2019 l’allora presidente populista americano lodò Draghi: «Dovremmo averlo alla guida della Fed» (la banca centrale statunitense n.d.r.).
Draghi è un tecnico con una visione politica. Non è un semplice economista, è capace di ideare e realizzare una innovativa politica economica e monetaria. Quando nove anni fa la crisi del debito sovrano fece esplodere lo “spread” dei paesi deboli (in testa quello italiano) intervenne con decisione. Il 26 luglio 2012 l’allora presidente della Banca centrale europea assicurò: «La Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro». Quella dichiarazione spezzò la speculazione internazionale, lo spread calò. Discese ancora più decisamente quando Draghi lanciò il cosiddetto “quantitative easing”, il programma di acquisti di titoli del debito pubblico dei pari paesi di Eurolandia. Andò avanti nonostante l’opposizione feroce di ampi settori della politica e della finanza tedesca, compresa la potente Bundesbank.
Così Draghi salvò una prima volta l’Italia e l’euro dal collasso. Il secondo salvataggio lo realizzò da pensionato. Nel marzo del 2020, quando già aveva lasciato la presidenza della Bce, propose all’Unione europea il varo di un gigantesco piano di “debito pubblico buono” anti Covid per impedire la chiusura delle fabbriche e sostenere il lavoro sia con sussidi alle imprese e sia ai disoccupati, sia con massicci investimenti pubblici (nella sanità, nelle infrastrutture, nel digitale, nell’ambiente, nella riconversione verde dell’economia). Prima fu attaccato a testa bassa dalla Germania e dai paesi ricchi del nord Europa, poi Angela Merkel fece dietrofront e disse sì al debito pubblico europeo anti pandemia.
La stessa “ricetta” di un anno fa Draghi, da presidente del Consiglio, la sta applicando per realizzare la ripresa dell’Italia prostrata dal Coronavirus. Lui, il tecnocrate, l’emblema delle vituperate élite europee ed italiane, ha ricevuto a sorpresa degli attestati di stima diversissimi: dal segretario del Pd Letta, dal presidente di Forza Italia Berlusconi. Perfino dai partiti antisistema sono giunte lodi. Il fondatore dei cinquestelle Grillo lo ha definito “un grillino”. Il leghista Giorgetti lo ha dipinto come “un fuoriclasse”. Salvini ha indicato i leghisti come “gli alleati più leali” del presidente del Consiglio. Certo soprattutto grillini e leghisti, fino a poco tempo fa sovranisti e sostenitori dell’uscita dell’Italia dall’euro, non hanno perso del tutto i tratti populisti. Su molti temi, dal green pass anti Covid alla riforma della giustizia, hanno fatto “ballare” il governo. Problemi in futuro non mancheranno ma il presidente del Consiglio finora l’ha sempre spuntata. Draghi è un uomo a sangue freddo, al momento non ha di fronte un leader alternativo credibile e nei sondaggi ha sempre un alto tasso di consenso tra gli italiani. Forse siamo alla fine della Terza Repubblica, quella populista nata nel 2018 dalla vittoria elettorale del M5S e della Lega. Draghi però deve fare i conti con i contagi del Covid in geometrico aumento sotto la spinta della variante Delta.