Alla fine ha trovato lavoro: Conte presidente del M5S. Ai primi di febbraio, dimettendosi da presidente del Consiglio, annunciò su un tavolino davanti Palazzo Chigi: «Io ci sono e ci sarò». All’inizio di agosto, dopo sei mesi travagliati, è stato eletto presidente dagli iscritti cinquestelle con una consultazione online: 62.242 voti a favore e 4.822 contro.
Subito ha annunciato un “nuovo corso” per rilanciare il Movimento allo sbando. L’obiettivo è «coinvolgere una comunità di cittadini più ampia». La prima mossa è fissata. Da settembre farà un lungo giro delle regioni per intercettare le esigenze e le richieste di tutti gli italiani ed arrivare a fine anno a un programma di governo targato Conte presidente.
Non dice molto di più. Qualcosa in più invece dice Stefano Patuanelli, fedelissimo dell’ex presidente del Consiglio. Il ministro grillino per le Politiche agricole in una intervista al Corriere della Sera riconosce la necessità di superare le gravi divisioni interne e di rimediare allo sfaldamento del M5S nell’Italia settentrionale: «Il problema al nord c’è, inutile negarlo». C’è la necessità di recuperare il consenso dei ceti produttivi del Nord e, in particolare di artigiani e imprenditori. Patuanelli prima di tutto pensa a un taglio al fardello delle troppe tasse: «Vogliamo portare dentro la riforma fiscale il superbonus per le imprese, ovvero la cessione del credito d’imposta 4.0». Quindi punta a un ulteriore riduzione del costo del lavoro azionando la leva tributaria: così i lavoratori avrebbero buste paga più pesanti e gli imprenditori risparmierebbero nella concessione di aumenti salariali.
I sondaggi danno un dimezzamento dei cinquestelle rispetto alle elezioni politiche del 2018 (circa il 16% dei voti contro il 32% raccolto tre anni fa). Il crollo elettorale pentastellato è generalizzato ma nell’Italia settentrionale è drammatico: i loro voti sono in fuga verso la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Agli imprenditori del Nord, in particolare, non piace il reddito di cittadinanza varato dal governo Conte uno. Salvini e Renzi, al governo con i cinquestelle, sparano ad alzo zero contro questa misura giudicata assistenzialistica che per essi non crea, anzi, ostacola la crescita dell’occupazione. Mario Draghi non vuole cancellare ma ritiene necessario rivedere il reddito di cittadinanza per due ragioni: 1) in un periodo di grave crisi sociale e dell’occupazione la ritiene una misura giusta, 2) realisticamente prende atto che Conte non ci può rinunciare perché è un progetto bandiera dei grillini, quello che ha determinato il loro trionfo elettorale nel 2018 soprattutto al Sud.
Non a caso Conte all’assemblea pentastellata di aprile annunciò una rifondazione basata su un “nuovo modello di sviluppo” equo e sostenibile. In sintesi: la rifondazione del Movimento va attuata ma «senza rinnegare il passato».
Conte non si può permettere troppi strappi. Già ha pilotato il delicato passaggio del Movimento dal populismo al riformismo, dal no all’euro all’europeismo. L’obiettivo di diventare il capo del M5S è stato lungo e travagliato, molto più del previsto. C’è stato uno scontro durissimo tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Si è sfiorata la scissione. Il comico genovese prima ha incaricato l’avvocato pugliese di rifondare i cinquestelle per impedirne l’annientamento politico, poi l’ha attaccato pesantemente imputandogli la carente capacità progettuale e di leadership. L’ex presidente del Consiglio ha replicato in modo altrettanto bellicoso (l’ha accusato di essere “un padre padrone”). Alla fine è ritornata la pace tra il fondatore del M5S e l’”avvocato del popolo”. Ma adesso i cinquestelle hanno due capi: Grillo garante e Conte presidente.