Passate le ferie, i partiti dovranno impegnarsi a fondo per evitare di uscire con le ossa rotte dalle amministrative del 3 e 4 ottobre. Una chiamata alle urne importante, che, a meno di due mesi dal voto, non ha visto un solo leader entrare sul serio in campagna elettorale. Eppure ci sono in ballo i sindaci di 20 comuni capoluogo, tra cui: Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli.
Commissariati dalla coppia Mattarella-Draghi, i leader politici, palesemente in affanno, adesso rischiano l’irrilevanza. Tutti, compresa Giorgia Meloni, che, nonostante i sondaggi nazionali favorevoli, grazie al monopolio dell’opposizione, alle amministrative dovrà correre insieme agli “alleati” Berlusconi e Salvini e potrebbe pagare la fragilità dei candidati messi in campo dal centrodestra.
Staremo a vedere. Ma le difficoltà maggiori sembrano quelle del Pd. Con il segretario Enrico Letta costretto a scendere in campo in prima persona nelle suppletive senesi per conquistare il seggio parlamentare di Siena reso vacante dalle dimissioni dell’ex ministro Carlo Padoan diventato presidente di UniCredit. E la cosa peggiore è che adesso Letta deve fare i conti con gli esuberi del Monte dei Paschi, per anni gestita dalla sinistra, in seguito all’annunciata cessione della banca senese proprio all’UniCredit.
A questo punto, il segretario del Pd gioca una partita difficilissima in cui rischia di incassare tre gol. Il mancato ritorno in Parlamento, una pesante sconfitta alle amministrative e l’ennesimo rinvio dello “ius soli”, il diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia, di cui ha fatto una bandiera.
Proprio per questo ha annunciato un tavolo con le forze di maggioranza: «Il Pd si farà portabandiera per la battaglia parlamentare sul diritto di cittadinanza». L’appuntamento è fissato per settembre, poco prima dei due appuntamenti da cui dipende il suo futuro: le amministrative del 3 e 4 ottobre e la corsa per il seggio senese.
Il problema è che il Pd, dalla fine del governo giallorosso, prima con Zingaretti e poi con Letta, si è impiccato all’alleanza con Cinquestelle. Lo ha fatto senza un piano B. Con il risultato che adesso rischia di pagare cara la sua scelta.
Come dimostra la candidatura Raggi per il Campidoglio e l’ambiguità di Conte sullo “ius soli”. Ambiguità che nasce dalla spaccatura del M5S sulla legge. Con una parte favorevole all’approvazione e l’altra contraria. Il capogruppo alla Camera Davide Crippa lancia l’idea dello “ius scholae”, ovvero il diritto dei figli degli immigrati di diventare cittadini italiani dopo aver completato un ciclo di studi. Ma la grillina Paola Taverna, vicepresidente del Senato, è contraria: «Credo che nella attuale situazione politica ci siano altre priorità». Stessa linea per Virginia Raggi, che – tra l’altro – ha confermato che non intende vaccinarsi contro il Covid: «Ho gli anticorpi alti» e quindi va alle elezioni strizzando l’occhio ai no vax. Peggio di così…