«Vergine madre, figlia del tuo figlio», l’essenza del cristianesimo in un solo endecasillabo. È un verso della Commedia, questo il titolo semplice che Dante aveva dato alla sua opera, racconto drammatico ma a lieto fine della sua esperienza e condizione umana che condivideva e continua a condividere con l’intera umanità, definita “divina” un paio di secoli dopo per il suo contenuto e per la sua magnificenza.
Siamo nel canto 33 della terza cantica, quella del Paradiso, la più difficile perché si propone di descrivere l’indescrivibile e di raccontare il mistero. E qui solo il suo genio poetico può aiutarlo e versi come questi che colpiscono la mente come un’illuminazione. È il canto di chiusura della Divina Commedia, la conclusione della sua avventura umana e spirituale. Non ci sono spiegazioni sulle figure allegoriche o sulle similitudini che tengano, non ci sono spiegazioni raffinate di dotti professori su assonanze e allitterazioni che possano trasmetterci fino in fondo la grandezza di questi versi. Basta leggerli o sentirli declamare, da Benigni per esempio, il più grande, per passare dalla meraviglia alla comprensione e quindi alla commozione.
È un esempio fra tanti, ognuno ha il suo verso o la sua terzina preferita tra i contenuti della Divina Commedia. Nella prima cantica, l’Inferno, ci sono descrizioni e definizioni indimenticabili. Ci si riconosce nel mondo dei dannati, con tutti i difetti, le miserie, le passioni, le grandezze anche nel male che sono proprie della condizione di tutti gli uomini di tutti i tempi. Dante le conosceva bene queste passioni, e con quanta pietà e compassione le ha descritte.
Ha fatto in modo che ognuno di noi si riconosca in esse. L’elenco dei personaggi indimenticabili dell’inferno dantesco sarebbe lunghissimo: Paolo e Francesca, Farinata
degli Uberti, Ulisse, Pier delle Vigne, il conte Ugolino, o Manfredi nell’Antipurgatorio che «biondo era e bello e di gentile aspetto», solo per citarne alcuni.
Per questo Dante Alighieri è il “sommo poeta”. Per questo a 700 anni dalla sua morte, avvenuta la notte tra il 13 e 14 settembre del 1321 probabilmente per la malaria, a Ravenna, dove viveva in esilio per motivi politici, gli vengono dedicati convegni, celebrazioni di ogni genere, iniziative in varie città, fra tutte Firenze la sua amata e odiata patria, e Ravenna, dove sono tuttora conservate le sue spoglie.
Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, dopo aver celebrato lo scorso 13 settembre una solenne messa nella Basilica di San Francesco, ha dichiarato: «Abbiamo voluto esaltare la grandezza assoluta della sua arte, ma al tempo stesso riconoscere la grandezza del suo pensiero che è storico e teologico».
Gli sono stati dedicati anche concerti, uno proprio a Ravenna, diretto da Riccardo Muti, un secondo a Firenze, un altro ancora a Verona. Santa Croce a Firenze, luogo dove tutto parla di Dante, è stata scelta dalla Zecca italiana e da Poste Italiane come sede per presentare i francobolli (in tre versioni con tiratura di 300mila esemplari ciascuna) e la moneta con cui, rispettivamente, i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Economia e delle Finanze hanno voluto celebrare l’anniversario dei 700 anni dalla sua morte. La moneta, realizzata dall’artista Claudia Momoni, ha spiegato Matteo Taglienti per la Zecca Italiana, è stata coniata in due versioni (oro e
argento) ed è «dedicata all’Inferno, la prima delle tre cantiche della Divina Commedia, e inaugura una serie di durata triennale, che prevede nel 2022 e 2023 altre due emissioni ispirate al Purgatorio e al Paradiso». E di iniziative e eventi in diverse città ce ne sono ancora molti.
A Montemurlo, in provincia di Firenze, passeggiate e una mostra fotografica per aiutare i visitatori a esplorare idealmente il territorio, le pievi, il castello, i cammini devozionali come potevano apparire ai tempi di Dante.
Ma l’omaggio migliore al poeta è leggere i suoi versi per lasciarsi alle spalle almeno per un po’ la nostra “selva oscura” e assaporare “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.