Mario Draghi non farebbe “il supplente” in eterno. Giorgetti spinge per una Repubblica presidenziale targata Draghi-Lega. Giorgetti nell’ultimo anno non ha nascosto la sua grande stima per Draghi: è «autorevole», è «un fuoriclasse». Ha sostenuto la sua ascesa a presidente del Consiglio quando il governo Conte due è naufragato davanti all’emergenza sanitaria ed economica del Covid.
Adesso Giancarlo Giorgetti tenta la seconda mossa: eleggere Mario Draghi presidente della Repubblica il prossimo febbraio, quindi aprire le urne per le elezioni politiche anticipate. Il vice segretario della Lega e ministro dello Sviluppo economico ha sparato la bomba in una intervista a La Stampa: «L’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi vince». Giorgetti pensa in grande: «Draghi diventerebbe il nuovo de Gaulle».
Traduzione: Draghi come Charles de Gaulle dovrebbe avere poteri ampi, quelli di una Repubblica presidenziale. Cioè dovrebbe esercitare poteri di governo e non di semplice rappresentante dell’unità nazionale e di garante della Costituzione. Certo gli ostacoli da superare sono molti: Draghi è un tecnico, un economista. Gode di un grande prestigio internazionale in Europa e negli Stati Uniti ma non ha una autonoma forza politica. Non guida e non è iscritto ad alcun partito. La Lega, si presume, metterebbe i suoi voti a disposizione dell’operazione.
Giorgetti non precisa come risolvere il problema istituzionale del passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale. Come affrontare una riforma istituzionale per realizzare una Repubblica presidenziale di tipo gollista, sul modello francese. Per ora si è limitato a porre il tema.
Altro ostacolo. Non è detto che riceva un sì all’ipotesi della Repubblica presidenziale, cominciando proprio dal Carroccio. Matteo Salvini non ha nascosto la sua stizza mettendo sullo stesso piano il numero due della Lega e il segretario del Pd: «Fossi in Draghi sarei irritato per come lo tirano per la giacca Letta e Giorgetti». Il Capitano, fino a qualche tempo fa, riteneva Draghi un avversario, un tecnocrate, un rappresentante delle élite, il salvatore dell’euro, la moneta europea alla quale lui voleva dire addio. Il segretario della Lega poi ha accettato di partecipare al governo di unità nazionale presieduto da SuperMario, ma non ha rinunciato alla sua linea populista anche in contrapposizione con il presidente del Consiglio.
Da mesi sono emerse due Leghe: una movimentista e sovranista di Salvini, una moderata ed europeista di Giorgetti aperta agli altri centristi (Berlusconi, Calenda, Renzi). La divaricazione più forte c’è stata sul Green pass obbligatorio voluto da Draghi, necessario dal 15 ottobre per tutti i lavoratori (pubblici e privati, dipendenti ed autonomi) per varcare gli ingressi di fabbriche ed uffici.
Salvini si opponeva al Supergreen pass, Giorgetti era favorevole. Alla fine l’ha spuntata il numero due del Carroccio assieme a tutta l’ala governativa del partito, con in testa i governatori Zaia (Veneto), Fontana (Lombardia) e Fedriga (Friuli Venezia Giulia). Il Capitano, rischiando di andare in minoranza, ha accettato il Supergreen pass e la vaccinazione di massa anti Covid, iniziative alle quali tengono molto i ceti produttivi del nord Italia.
Giorgetti nega l’esistenza di due Leghe: esiste «una sola» Lega, ma ammette «sensibilità diverse». La partita è cominciata. La segreteria di Salvini non è più indiscutibile come un tempo. L’iniziativa e il peso politico di Giorgetti nel Carroccio aumentano sempre più. La miscela delle elezioni per i sindaci rischia di essere esplosiva.