Con un linguaggio più da settimana eucaristica che da sindacato confederale, Cgil,Cisl e Uil hanno tirato fuori dal loro cilindro un oggetto abbastanza misterioso: il “percorso di mobilitazione” contro la legge di Bilancio appena approvata dal governo Draghi.
L’insolita forma di lotta dovrebbe partire a giorni, e marciare di pari passo con l’iter parlamentare della Finanziaria. La “mobilitazione” – si legge in un comunicato – comprenderà: «Assemblee, iniziative e manifestazioni regionali». Non avrebbe dovuto prevedere scioperi, ma la Fiom, che rappresenta i metalmeccanici della Cgil, ha già rotto il fronte proclamando otto ore di sciopero nazionale contro «una legge che non dà risposte alle richieste dei sindacati».
In realtà è tutto il mondo confederale ad accusare il governo di aver fatto troppo poco su lavoro, occupazione, ammortizzatori sociali e pensioni. Una situazione analoga, in altri tempi, avrebbe portato diritti allo sciopero generale. Il problema è che adesso a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi.
E così, i vertici confederali, visto l’atteggiamento del premier, hanno preferito ricorrere al cosiddetto “percorso di mobilitazione”, che – tra assemblee locali e regionali, confronti nelle categorie e “verifiche con i gruppi dirigenti” – alla fine di mobilitazione dovrebbe vederne poca.
Insomma, anche Cgil, Cisl e Uil sembrano finite nella rete di SuperMario, che – presentando in conferenza stampa i contenuti della manovra – aveva detto di non attendersi la proclamazione di uno sciopero generale. Lo aveva fatto rispondendo così alla domanda di un giornalista: «Sarebbe strano, considerata la disponibilità del governo al dialogo…». Alla fine, pur di mantenere ancora socchiusa la porta di Palazzo Chigi e strappare qualche piccola modifica alla legge di Bilancio, Landini, Sbarra e Bombardieri hanno rinunciato allo sciopero.
Questo modo di agire la dice lunga sulla fragilità del nostro sindacato e sulla sua crisi. Una crisi di rappresentanza che parte da lontano e adesso viene pagata a caro prezzo.
L’elenco degli errori e delle omissioni è lungo: aver lasciato indifesi per anni migliaia e migliaia di lavoratori precari, aver abbandonato i giovani a se stessi. E ancora: aver continuato a insistere su un modello sindacale puramente rivendicativo, perfino quando i colleghi tedeschi salvavano l’industria dell’auto diventandone azionisti. Per non parlare – infine – della cecità dimostrata quando Internet e la globalizzazione hanno cominciato a far saltare, uno dopo l’altro, tutti i vecchi parametri.
La perdita di fiducia nel sindacato ha quindi portato a una lenta erosione di iscritti tra lavoratori attivi. Una perdita costante andata di pari passo con la crescita dei pensionati, che ormai rappresentano un terzo degli iscritti alle confederazioni e ne condizionano sempre di più i vertici.
E così, quando è arrivato il Covid, i vertici di Cgil, Cisl e Uil hanno cominciato a oscillare paurosamente, mostrandosi sempre più incerti e indecisi di fronte alle decisioni da prendere. Ma, paradossalmente, dopo l’uscita dall’emergenza, è andata anche peggio. L’inevitabile annuncio della fine degli aiuti pubblici, a cominciare dal blocco dei licenziamenti, ha messo a nudo tutti i limiti del sindacato così come è oggi mandando in tilt i suoi vertici.