Per il momento dal Campidoglio sono arrivati solo annunci. L’ultimo il quattro novembre, in occasione della nuova giunta che il sindaco Gualtieri ha presentato con queste solenni parole: «Una squadra di alto profilo, sei donne e sei uomini, che lavoreranno per rilanciare Roma». Più generico di così non poteva essere. D’altra parte, nemmeno nelle due settimane trascorse dalla conquista di Roma, l’ex ministro dell’Economia aveva detto qualcosa di concreto.
Allora, per cercare di capire come verrà gestita la capitale del dopo-Raggi, non resta che dare uno sguardo alla giunta. Di fatto siamo di fronte a un monocolore Pd senza un solo tecnico. Nemmeno là dove bisogna affrontare i problemi più gravi. È il caso della “monnezza”, un’emergenza da cui non si può pensare di uscire con la “pulizia straordinaria” della città entro Natale, la romanella più volte promessa dal nuovo sindaco.
Come ha scritto Sfoglia Roma, «la costruzione di un termovalorizzatore neppure è ipotizzata». Ma se la giunta Pd, promesse a parte, non riuscirà a dare «una risposta strutturale al problema della raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti», la città resterà nelle disastrose condizioni attuali. E a quel punto non si potrà più dare la colpa alla Raggi.
Naturalmente Gualtieri conosce perfettamente il rischio che sta correndo, allora resta da spiegare il perché non ha ancora preso il toro per le corna. Con una proposta forte, con un progetto innovativo. Insomma, dando l’idea della discontinuità. Per esempio, azzerando i vertici delle municipalizzate e avviando una ristrutturazione profonda per renderle finalmente efficienti.
La ragione della linea morbida dei nuovi padroni del Campidoglio va cercata altrove. In quella ragnatela di legami tra politici, fornitori, burocrati, sindacati e imprenditori che da anni paralizza la città. Un sistema di potere trasversale, non sempre limpido, che va dalla destra alla sinistra.
Per capire di che cosa si tratta, basta fare un piccolo salto all’indietro e soffermarsi sullo scandalo di “Mafia capitale”. Dove, mafia o non mafia, l’infiltrazione criminale è stata ampiamente provata in Tribunale. È il caso di ricordare che “Mafia capitale” è emersa praticamente l’altro ieri: l’arresto di Buzzi e Carminati risale a dicembre 2014, cioè a meno di sette anni fa.
Vale anche la pena di ricordare le parole con cui, a marzo di quest’anno, Nicola Zingaretti motivò le sue dimissioni da segretario del Pd: «Nel partito si parla solo di poltrone, mi vergogno». Difficile pensare che in appena otto mesi il gruppo dirigente dem abbia fatto un bagno purificatore. Quindi, risulta difficile credere agli annunci seguiti alla vittoria di Enrico Letta alle ultime amministrative con tutto il vecchio armamentario retorico rispolverato dalla sinistra buonista.
La realtà è che i problemi e i rischi per il Pd sono tanti, soprattutto nella capitale. Dove, in caso di fallimento della giunta Gualtieri, non potendo più dare la colpa alla sindaca Cinquestelle, il Partito Democratico non avrebbe nemmeno la prova di appello.