Bella giornata autunnale al Colosseo di Roma. Folla di turisti muniti di mascherine e green pass. L’anfiteatro Flavio in gran parte restaurato (i lavori hanno preso il via nel 2013) è magnifico. Gli stranieri sono incantati e l’emozione continua ad essere forte anche per i romani che più volte sono entrati a rendere omaggio al simbolo grandioso della loro città.
Ma questa è un’occasione speciale, un privilegio riservato a studiosi e a qualche giornalista, e a rendere ancora più emozionante la visita è un itinerario particolare sotto la guida del professore di Storia della Chiesa e giurista Pier Luigi Guiducci, già docente di Storia della Chiesa presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense). Proprio a lui dobbiamo la prima lettura di un disegno che, secondo una delle interpretazioni, si tende a datare fine del III secolo d.C., individuato dal suo occhio attento tra centinaia di altri segni di epoche diversissime, fino a quelle a noi contemporanee, su un lacerto di intonaco che ha resistito alla furia del tempo e che è stato ripulito nel corso del recente restauro, regalando materiale prezioso agli studiosi, agli archeologi e a noi tutti, per capire la vita e gli umori che animavano i corridoi dell’anfiteatro ai tempi dell’impero romano. Tra date, nomi, dediche di amanti in diverse lingue e disegni di diversa natura, spiccano due grandi lettere e tra esse una piccola croce “semplice latina” disegnata con tratto deciso. Allo studio di questo disegno il professore ha dedicato più anni. In questi giorni è uscito il suo libro: Un nuovo messaggio cristiano dal Colosseo? Studio del disegno di una croce edito da EDUcatt (Milano 2021, pp.53). Il testo viene regalato dall’Ateneo in occasione del centenario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Chiunque può scaricarlo dal sito EDUcatt.
La parte di intonaco presa in esame si trova nel corridoio di servizio che immette al terzo livello, una zona ancora interdetta al grande pubblico per i lavori di restauro ancora in corso, e accessibile per ora solo agli studiosi. Ma perché è così importante questo ritrovamento? «Perché è un simbolo di vita e di redenzione» in un contesto di violenza in cui il divertimento nasceva dall’assistere a giochi cruenti e a vere e proprie crudelissime esecuzioni capitali, spiega il professor Guiducci. La piccola croce latina è effigiata sul muro con il colore rosso pompeiano riconosciuto dagli esperti originale del periodo. Il livello in cui si trova la raffigurazione è il terzo, quello riservato al popolo, ai plebei, e questo rende l’immagine ancora più commovente, perché è un segno di pietà in un luogo di divertimento sfrenato e di disperazione allo stesso tempo. Ma non è tutto. La piccola croce si trova tra due grandi lettere, dello stesso periodo storico e anch’esse in rosso pompeiano: una grande T e una S collegate tra loro da una linea orizzontale. È proprio su questa linea che è stata raffigurata la croce dei cristiani. Ma cosa significano queste due lettere, si è domandato il professor Guiducci? Le ipotesi degli storici sono diverse, alcuni le ritengono casuali e prive di un
significato particolare. Ma non il professore che le ha studiate a lungo. Tra le ipotesi prese in considerazione c’è quella che siano le iniziali di nomi, anche se nel mondo romano non si usavano le abbreviazioni e le ritroviamo solo sulle antiche monete, troppo piccole per contenere il nome dell’imperatore per esteso. L’ipotesi che invece il professor Guiducci avanza è quella relativa a un grido, un’esclamazione, un incitamento alla violenza che il pubblico rivolgeva al toro scatenato e inferocito e crudelmente spinto con sevizie a rivolgere la propria carica aggressiva e forza sovraumana contro le povere vittime da sacrificare nell’arena in nome del “panem et circenses”: “Taurus, taurus, taurus”.
Il ritrovamento della piccola croce risponde così in qualche modo al dubbio di alcuni storici secondo i quali non ci furono uccisioni di cristiani all’interno del Colosseo, le cui esecuzioni capitali avvenivano invece, sin dall’epoca della persecuzione neroniana, in zone limitrofe e lungo la via Cornelia. Ma anche se non ci furono esecuzioni di cristiani in quanto tali nell’anfiteatro, tra gli schiavi e prigionieri di guerra condannati a morte c’erano cristiani, ed erano presenti anche tra il pubblico, la croce rossa identificata ne è la prova. «La maggioranza dei cristiani uccisi durante le persecuzioni rimaneva in genere anonima- scrive nel suo libro il professor Guiducci- i cadaveri dei santi (quando non si riusciva a recuperarli in
tempo) facevano la fine di tutti coloro che erano stati uccisi a motivo di una condanna (fosse comuni in luoghi posti ai margini dell’abitato». «L’assenza di dati su vari cristiani è pure legata al fatto che le esecuzioni riguardarono gente di basso livello sociale-scrive il professore- la loro fine non interessava a nessuno (tranne ai correligionari)». Di conseguenza, le autorità del tempo e gli stessi carcerieri non si preoccuparono di registrare dati su chi attendeva il momento di essere esposto alle fiere. Per questo i dati e i pareri degli studiosi a volte sono discordi, e proprio per questo qualsiasi “segno” relativo al cristianesimo dei primi secoli è fondamentale per recuperare «il senso di un vissuto quotidiano cristiano».
«In un contesto ove molte persone morivano nell’arena -scrive il professor Guiducci- qualche seguace di Gesù di Nazareth volle sottolineare pietas e affidamento. In tal modo, mentre da una parte si esaltava il vigore, la forza, il sangue, la dominanza, dall’altra l’immagine di una piccola croce, abbastanza celata (per le persecuzioni?), venne utilizzata per richiamare un’altra realtà. Dolorosa. Ma salvifica».