Conte peso piuma
nel governo e in Rai

La scintilla della “guerra” è il siluramento del bravo Giuseppe Carboni. Tg1, Tg2, Tg3, Gr. E poi: Tgr, Tg Parlamento, Rainews, RaiSport, Approfondimenti giornalistici. Da sempre centro-sinistra, centro-destra, cinquestelle urlano contro la lottizzazione della Rai quando sono o si sentono esclusi dal manuale Cencelli, il famoso breviario per la spartizione dei posti inventato da un Dc nella Prima Repubblica. Tacciono, invece, quando sono soddisfatti.

Carboni, Torre Rai di via Teulada a Roma

Torre Rai di via Teulada a Roma

I grillini in versione opposizione antisistema ante 2018, anno del loro ingresso nel governo con la Lega, urlavano contro la lottizzazione. Anzi, erano i più bellicosi con Beppe Grillo nel gridare “fuori i partiti dalla Rai”.

Poi arrivarono le intese sulle nomine, la stagione dei direttori graditi e finirono le proteste. Erano gli anni degli accordi sulla Rai del Conte uno (esecutivo con la Lega) e del Conte due (ministero con il Pd). E le proteste del M5S contro la lottizzazione scomparvero. Ora invece riesplodono improvvisamente nell’era del governo Draghi.

Giuseppe Conte ha urlato a squarcia gola contro la lottizzazione, contro la «degenerazione». Il presidente cinquestelle se l’è presa con l’amministratore  delegato dell’azienda radiotelevisiva pubblica Carlo Fuortes, nominato dal governo Draghi. L’accusa  è di non aver liberato «la Rai dalla politica ma ha scelto di esautorare una forza politica come il M5S». Tuttavia la protesta è servita a poco: anche il consiglio di amministrazione della Rai, espressione dei partiti rappresentati in Parlamento, ha approvato le nomine indicate da Fuortes.

Conte, in particolare, se l’è presa per il disarcionamento di Giuseppe Carboni, giornalista di rango, dalla direzione del Tg1 e lasciato a spasso. Le nomine di altri direttori come Simona Sala al Tg3 (definita da ‘la Repubblica’ «gradita sia al Pd sia al 5S») e Alessandra De Stefano a RaiSport (ritenuta vicina ai cinquestelle) non hanno lenito l’ira dell’ex presidente del Consiglio.

Carboni, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte

C’è qualcosa che non funziona: non si erano mai sentiti gli attacchi alla lottizzazione da parte di un partito di maggioranza relativa. E il Movimento 5 stelle è ancora tale. I pentastellati, nonostante i tanti addii ed espulsioni di oltre 100 parlamentari, sono ancora il più forte partito dell’esecutivo di grande coalizione guidato da Mario Draghi. Avrebbero e hanno tutto il peso e il potere di farsi sentire.

Il caso Carboni fa emergere un problema politico. Forse la leadership di Conte è debole. Forse conta poco nel governo e in Parlamento. Forse sconta anche la frammentazione dei grillini in cento gruppi e sottogruppi diversi. Forse patisce anche il dualismo con Luigi Di Maio. Marco Damilano, direttore de L’Espresso, ha sottolineato: al contrario di Conte «Di Maio non è stato per niente escluso» dalle nomine e il titolare della Farnesina «parla come un ministro tecnico». In questa situazione il centro-destra sia con i partiti al governo (Lega e Forza Italia) e sia con quello all’opposizione (Fratelli d’Italia) riesce a pesare di più. Anche il Pd si difende. Grillo e Di Maio tacciono. Conte sembra isolato, è un peso piuma.