Alla fine i governatori leghisti hanno chiuso in un angolo Matteo Salvini. Sia pure a malincuore il segretario del Carroccio è stato costretto a dire sì al super green pass e al green pass “base”: il decreto è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri (anche se non sono mancate tensioni nella Lega).
Dal 6 dicembre al 15 gennaio solo chi è vaccinato o è guarito dal Covid potrà entrare al chiuso in un bar, in un ristorante, oppure potrà partecipare a spettacoli, eventi sportivi, feste, cerimonie pubbliche. Sempre dal 6 dicembre servirà il certificato verde di “base” (un tampone negativo) per andare al lavoro, negli alberghi, negli spogliatoi di attività sportive, per utilizzare i trasporti pubblici.
Mario Draghi ha difeso il decreto: occorre «evitare rischi» di una esplosione dei contagi. Il presidente del Consiglio ha precisato: vanno salvati il Natale, la normale socialità, il turismo, la ripresa economica.
I presidenti delle regioni, compresi quelli leghisti, l’hanno spuntata. Dietro la forte salita dei morti e dei contagi hanno premuto sul governo Draghi e su Salvini per tutelare assieme la salute e le attività economiche da nuove chiusure. Le nuove infezioni e i morti aumentano in Italia anche se la quarta ondata del virus non è una valanga come in Germania, Francia, Olanda, Austria e nei paesi dell’Europa orientale. Luca Zaia (governatore del Veneto) nei giorni scorsi ha martellato: «Non possiamo chiudere, si punterà su questo Green pass rafforzato…Chi non è vaccinato avrà limitazioni». Disco verde al super green pass anche da Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia) per «dare certezze agli operatori economici», così «con il tampone sarà consentito solo andare al lavoro». La stessa musica l’ha suonata Attilio Fontana (Lombardia): «Non possiamo aspettare che il virus detti le regole. Dobbiamo tutelare chi ha fatto il proprio dovere».
Salvini per mesi ha occhieggiato ai no vax e ai no green pass: «Ognuno è libero di agire secondo coscienza, siamo in democrazia e non in un regime». Aggiungeva: «Il tampone è il mezzo più sicuro» per accertare la negatività da Coronavirus anche rispetto a «un vaccinato senza tampone».
Alla fine il 24 novembre il Capitano ha messo da parte i precedenti no alle restrizioni della libertà di movimento, è stato determinante un incontro in video conferenza con i governatori leghisti. Ha accettato l’invito al pragmatismo, ad accogliere le richieste di sicurezza della salute e delle attività economiche provenienti dai cittadini. Il segretario del Carroccio ha annunciato di lavorare «insieme con il governo con buonsenso per evitare chiusure, eccessive complicazioni per gli italiani e messaggi allarmistici». Difatti il decreto sul super green pass è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, esponenti leghisti compresi.
Nella Lega è stata sfiorata la rottura tra la linea populista e quella moderata, tra l’anima che fa capo a Salvini e quella di Giancarlo Giorgetti e dei governatori del nord Italia. Il vice segretario del Carroccio e ministro dello Sviluppo economico è un amico e un grande estimatore di Draghi (per lui ha proposto il Quirinale con un presidenzialismo di fatto). Giorgetti da mesi spinge Salvini ad abbandonare l’impostazione populista-sovranista e a sposare la svolta europeista rimasta «un’incompiuta». Sul super green pass Salvini ha fatto un passo indietro, è riuscito a trovare una mediazione e a difendere la sua lacerata leadership.