L’ultimo colpo è stato il Trattato del Quirinale, il prossimo sarà la riforma fiscale. A Salvini non va più una palla in buca, colleziona solo sconfitte nel confronto con Draghi, suo presidente del Consiglio e avversario di un tempo.
L’artefice dell’asse sovranista con i nazionalisti Orbàn (Ungheria), Kaczynski (Polonia) e Marine Le Pen (Francia) subisce l’accordo di stretta collaborazione europeista firmato da Draghi e da Macron al Quirinale alla presenza di Mattarella. Italia e Francia, in base al Trattato del Quirinale, collaboreranno su questioni delicatissime: la difesa comune (proiettata soprattutto nel Mediterraneo), l’innovazione tecnologica (in testa il digitale), l’industria. Alternativamente un ministro italiano andrà a Parigi e uno francese sarà a Roma per partecipare alle rispettive riunioni dei due governi. È un bruttissimo “rospo” da ingoiare per il segretario della Lega: tre anni fa si scontrò con il presidente della Repubblica francese con roventi insulti. Brutta coincidenza: salta, almeno per ora, il progetto di Salvini di costruire un nuovo gruppo delle destre sovraniste al Parlamento europeo (dovevano essere coinvolti Giorgia Meloni, Marine Le Pen, Viktor Orbàn, Jaroslaw Kaczynski).
Riforma fiscale. Il segretario della Lega reclamava dal presidente del Consiglio una nuova flat tax e invece di una imposta piatta uguale per tutti si ritrova sul tavolo una nuova tassazione progressiva con la riduzione delle aliquote Irpef per il ceto medio. Ma i “rospi” ingoiati sono tanti.
Green pass anti Covid. Il Capitano era ostile a limitare la libertà di movimento e invece ha dovuto anche incassare il raddoppio del certificato verde: il varo del super green pass e di quello “base”.
Quota 100. Voleva conservare quota 100 per il pensionamento anticipato (62 anni di età e 38 di contributi previdenziali), invece dovrà accettare altre soluzioni allo studio (sono in discussione sia all’interno della maggioranza sia con i sindacati).
Sconfitte su sconfitte. Sconfitte perfino sui cavalli di battaglia storici del Carroccio, da quando il Capitano, sia pure con molti dubbi, ha accettato di entrare nel governo Draghi, l’esecutivo di “salvezza nazionale”. Salvini ha commentato scorato: «Stiamo pagando come partito» la scelta di entrare nel governo Draghi. Ma, almeno per ora, non ha intenzione di rompere: «Ma per me il partito viene dopo il Paese». In sintesi: adesso non vede una alternativa all’esecutivo di grande coalizione diretto dall’ex presidente della Banca centrale europea. Spera nel voto politico anticipato nel 2022, dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica a febbraio.
Sono lontani i trionfi elettorali del 2019 e del 2020. La Lega nelle elezioni europee del 2019 divenne il primo partito italiano con il 34% dei voti: il populismo di Salvini si mangiò quello dell’alleato Di Maio nel governo Conte uno. Seguirono grandi successi in diverse elezioni regionali e il Carroccio arrivò perfino a spuntare il 38% dei consensi nei sondaggi elettorali a livello nazionale. Poi è arrivata la stagione delle sconfitte culminata nello sfaldamento della Lega nelle elezioni comunali dello scorso ottobre. I sondaggi elettorali confermano la stella cadente di Salvini: una rilevazione Ipsos ha dato il Carroccio al 19,1% dei voti, al terzo posto dopo il Pd e Fratelli d’Italia poco al di sopra di questa cifra.
La Lega è in discesa tumultuosa da quando ha deciso di partecipare al governo Draghi, nello scorso febbraio. Salvini su tanti temi (vaccinazioni anti Covid, Europa, migranti, pensioni) ha assunto una posizione di partito di “lotta e di governo”: si è smarcato dal presidente del Consiglio, ha sfiorato la rottura. Ma poi è stato sempre costretto a una repentina marcia indietro o a tacere (come sul Trattato del Quirinale). L’ala governista del Carroccio (i ministri e i presidenti leghisti delle regioni) ha prevalso. Ha prevalso la linea (sostenuta soprattutto dagli elettori del Carroccio del Nord) di appoggiare Draghi impegnato a contenere i contagi del Coronavirus e nel costruire la ripresa economica boom dell’Italia. Le oscillazioni continue di Salvini tra populismo e riformismo non sono piaciute ai suoi elettori.