Conciliare identità e programmi politici diversi è difficile, ma alla fine sembra spuntare il “governo semaforo”. Il miracolo sembra riuscito. Olaf Scholz nelle elezioni politiche di settembre in Germania ha resuscitato la Spd (il partito socialdemocratico tedesco) e l’ha portata alla vittoria. A fine novembre ha annunciato: «Il semaforo c’è».
C’è, cioè, l’accordo per il cosiddetto “governo semaforo”, il nome partorito dai colori dei tre partiti della progettata coalizione: il rosso della Spd, il verde dei Grunen (gli ambientalisti), il giallo della Fdp (i liberali). I tre partiti, dopo due mesi di discussioni, hanno raggiunto a fine novembre l’intesa sul programma di governo fissata in un documento di 177 pagine.
Nei primi giorni di dicembre è arrivato il sì della base dei tre partiti al patto di legislatura. Spd e Fdp, con due congressi straordinari, hanno dato il disco verde al “governo semaforo”. I Grunen hanno approvato l’accordo tramite un voto per posta tra i militanti. I partiti nella Repubblica federale tedesca hanno profonde radici nella società, la democrazia interna funziona. Con tre sì il “governo semaforo” dovrebbe prendere il largo l’8 dicembre, con il voto del Bundestag, il Parlamento tedesco. Avrà di fronte la priorità Covid: come arginare la sconvolgente quarta ondata del virus. Olaf Scholz diventerà cancelliere e finirà anche formalmente la lunga era di Angela Merkel, tuttora cancelliera della Repubblica federale tedesca a capo di un esecutivo di grande coalizione tra Cdu-Csu (i democristiani) e la Spd.
È il trionfo della democrazia di base. Congressi straordinari e votazioni per far decidere agli iscritti scelte importanti come le alleanze per un nuovo governo. «È la democrazia dei partiti, bellezza», si può dire parafrasando Humphrey Bogart. Sembra passato un secolo, ma è anche quello che facevano i “partiti di massa” italiani nella Prima repubblica. Dc, Pci, Psi e partiti laici consultavano sempre gli iscritti (con congressi ordinari e straordinari) quando affrontavano decisioni importanti come nuove alleanze di governo.
La Seconda repubblica invece, quella della contrapposizione Berlusconi-Prodi, vide la nascita dei “partiti leggeri”, leaderistici con poca attenzione verso la democrazia interna. Praticamente senza radici nella società italiana. Le decisioni erano prese e comunicate improvvisamente dal leader carismatico, con un rapporto diretto con i propri elettori. Trionfò il sistema elettorale maggioritario ma fallì l’obiettivo dichiarato di ridurre il numero dei partiti e di assicurare stabilità politica. I governi cambiavano rapidamente e, spesso, con maggioranze del tutto diverse da quelle proposte agli elettori prima del voto. I partiti proliferarono, arrivarono ad oltrepassare il numero di 40 con il sistema maggioritario.
Nella Terza repubblica, quella nata dal trionfo populista del grillismo e del leghismo salviniano, le cose non sono per niente cambiate: maggioritario, cambi di governo a catena con maggioranze diversissime, un diluvio di partiti e partitini personali, il potere concentrato nelle mani dei capi carismatici Grillo e Salvini. Molte volte il leader prende decisioni importanti senza consultate gli organismi dirigenti del partito né gli iscritti: basta una dichiarazione su Twitter e un post su Facebook perfino per capovolgere una alleanza di governo.
Invece in Germania, come nella Prima repubblica in Italia, c’è il sistema elettorale proporzionale, i partiti navigano sotto i 10, hanno una precisa identità politica, i leader fanno puntualmente i conti con la base. Il meccanismo, anche di fronte a gravi problemi politici, funziona. In Italia, invece, il sistema è in profonda crisi. In poco tempo la debolezza dei partiti ha costretto a chiedere l’aiuto di due presidenti del Consiglio tecnici, esterni al sistema politico: Mario Monti nel 2011, Mario Draghi nel 2021. È interminabile la transizione politica italiana dopo il crollo della Prima repubblica.