Il voto politico anticipato è tecnicamente impossibile. Qualcuno lo auspica, ma non si possono aprire le urne. Manca la legge, non c’è stata la riforma elettorale. È un buco, un buco importante nell’ordinamento legislativo. Giorgia Meloni lo scorso ottobre sfidò Enrico Letta sul Quirinale: «Fratelli d’Italia è disponibile a votare Draghi alla presidenza della Repubblica a patto che si vada a votare subito».
E qui sorgono i problemi, la condizione posta dalla presidente di Fdi è impraticabile. Se il presidente del Consiglio venisse eletto capo dello Stato ci sarebbe la crisi di governo ma sarebbero irrealizzabili immediate elezioni anticipate. Comunque andrà a finire il braccio di ferro sul Colle sarebbe impossibile aprire le urne perché manca la legge elettorale: il Parlamento non ha ancora approvato un nuovo meccanismo per le politiche dopo il taglio del numero dei deputati e dei senatori fortemente voluto dai cinquestelle.
Letta, grande estimatore di Mario Draghi, alla fine ha affrontato il tema sempre tralasciato da tutti. Nella direzione del Pd del 15 gennaio ha annunciato la disponibilità «ad aggiustare la legge elettorale, che non è la più bella legge elettorale che potremmo avere». In sintesi: il segretario dei democratici vuole «aggiustare» in tempi rapidi la legge attuale per votare, mettendo da parte i forti contrasti tra centro-sinistra, grillini e centro-destra sui contenuti di una riforma elettorale (c’è chi la vorrebbe più o meno maggioritaria e chi più o meno proporzionale).
Sul prossimo presidente della Repubblica c’è il buio pesto. In pista ci può essere Silvio Berlusconi: un vertice del centro-destra a Villa Grande ha invitato il presidente di Forza Italia a «sciogliere in senso favorevole la riserva fin qui mantenuta» (il Cavaliere sta cercando i voti mancanti per non farsi “bruciare” nella corsa al Colle). Draghi, presidente del Consiglio molto apprezzato dal segretario del Pd e dal leghista Giorgetti, avrebbe tutti i requisiti per spuntarla ma un suo addio a Palazzo Chigi potrebbe provocare il terremoto, anche se non immediato, delle elezioni anticipate.
La scelta per il Quirinale potrebbe cadere su un protagonista di seconda fila del firmamento politico italiano, un uomo (o una donna) gradito o non ostile a tutti i partiti (quelli nel governo di unità nazionale guidato da Draghi e Fratelli d’Italia in una solitaria posizione di opposizione da destra). C’è, infine, anche la possibilità di una conferma di Sergio Mattarella. Anche se il presidente della Repubblica ha più volte detto di non essere disponibile a un secondo mandato, alla fine potrebbe accettare un “bis a termine” (come fece Giorgio Napolitano) in caso di un pericoloso stallo, di infinite votazioni senza un esito positivo.
I “grandi elettori” cominceranno a votare per il nuovo capo dello Stato dal 24 gennaio nell’aula della Camera. Le riunioni formali, informali, i contatti nei partiti, nelle coalizioni e tra di esse sono frenetici dall’inizio dell’anno nuovo. La travolgente avanzata delle varianti Omicron e Delta del Coronavirus è un’altra spinta a fare presto. Tuttavia ancora non si vede un possibile sbocco del braccio di ferro.
Vittorio Sgarbi si è messo al telefono a cercare voti per il Cavaliere. Lo storico dell’arte aveva annunciato di aver trovato 15 voti “certi” oltre ai 450 dei “grandi elettori” del centro-destra (molti sono in forse). Poi è prevalso il pessimismo sul traguardo di almeno 505 voti. Ha definito Berlusconi «triste». Ha sparato: il presidente di Forza Italia «starà pensando se c’è una via di uscita onorevole, con un nome che sia gradito a lui, forse Mattarella».
La partita è complessa. Tutto è possibile. C’è da fare i conti con i “franchi tiratori”: per il presidente della Repubblica si vota a scrutinio segreto. Ancora non si vede una proposta di riforma elettorale.