Conte uno, Conte due, Conte tre. Nella sua breve carriera politica, Giuseppe Conte è riuscito in un’impresa unica. Ha avuto tre vite. La prima da “avvocato del popolo”, alla guida del governo gialloverde. La seconda da “progressista”, alla guida del governo giallorosso.
La terza da presidente del Movimento 5 Stelle. Anche in questo caso, è ormai un ex, vista la sospensione decretata dal Tribunale di Napoli, che ha azzerato il vertice pentastellato votato online in modo giudicato “irregolare”.
E così tutti i poteri legali sono tornati al garante Grillo, che ha subito freddato il presidente deposto con un secco: «Le sentenze si rispettano». Intanto i Cinquestelle sono in piena crisi e nel bel mezzo di una guerra interna portata alla luce da Luigi Di Maio, che dopo la partita del Quirinale ha accusato Conte di «fallimento».
A questo punto sarebbe stato lecito aspettarsi dall’ex avvocato del popolo, dall’ex premier che, scopertosi progressista, attaccò Salvini in pieno Parlamento, parole adeguate e toni giusti. Per rispondere sia al Tribunale, che lo ha decapitato, sia a Di Maio, che lo ha sfidato apertamente. Invece no. Il Conte tre, il leader politico caduto, è apparso subito in difficoltà. Le sue dichiarazioni sono state di solito retoriche o enfatiche. E le risposte alle domande dei giornalisti quasi sempre evasive.
Ai giudici di Napoli l’ex “avvocato del popolo” ha replicato con un piccato «la mia leadership non dipende dalle carte bollate», ma si basa sulla «condivisione di principi e valori». Quello di Di Maio è stato definito «un attacco plastico». E nessuno ha capito che cosa volesse dire. Alla deroga al limite dei due mandati parlamentari, che poi era alla base dello scontro con il ministro degli Esteri, il presidente ancora in carica del Movimento ha risposto evasivamente con un «vedremo». Ma dopo aver difeso il principio dei due mandati con un roboante «la politica è vocazione, non professione…». Ai Cinquestelle in piena crisi Conte, ancora adesso, attribuisce generosamente «forza trainante» e «chiarezza di principi e di visione».
Quanto alla partita per il Quirinale, che, onestamente, per lui non si è risolta in un trionfo, l’ex presidente del M5S assicura che i faccia a faccia con Salvini erano solo «confronti bilaterali per creare le premesse…». Alla rielezione di Mattarella, ovviamente. Infatti, nella versione del Conte 3, il rinnovo di Mattarella si «deve al lavoro sottotraccia del Movimento …». E così Grillo, che non lo ha mai amato, appena tornato al timone della sua creatura lo ha messo da parte e gli ha imposto il silenzio. Con un perentorio: «Adesso tutti zitti!»