Finiti i tempi magri le banche tornano a guadagnare. Il “ritorno diffuso alla redditività” nel 2021 risulta subito evidente dai bilanci dell’ultimo quadrimestre (e dell’intero anno) appena resi pubblici dai nostri maggiori istituti di credito.
E così, l’utile netto di Intesa Sanpaolo, prima banca italiana, è volato a quattro miliardi e 185 milioni di euro, con un incremento del 19,4 per cento rispetto al 2020. Secondo posto per Unicredit, con un utile netto di 3,9 miliardi e un rialzo di 2,6. Terza posizione per Banco BPM che però balza al primo posto per l’incremento dell’utile, che nel 2021 è aumentato del 114,9% rispetto ai 330,5 milioni registrati nel 2020.
Grazie a questi risultati, gli azionisti delle maggiori banche sono tornati a incassare ottimi dividendi. Nulla da obiettare, se fossimo di fronte a una pura logica di mercato. Ma in questo caso qualcosa da eccepire ci sarebbe. Quando l’arrivo del Covid ha messo in ginocchio l’economia del Paese, le nostre banche hanno usufruito di massicci piani autorizzati dall’Ue. Il tutto, in deroga alle regole vigenti da 30 anni e, se proprio vogliamo semplificare, alle regole di mercato. Sono così arrivati massicci aiuti per consentire agli istituti di credito di liberarsi di crediti deteriorati, e, a seguire, Fondi di solidarietà, Fondi di garanzia, eccetera. Insomma danaro pubblico.
Se poi andiamo a cercare le ragioni tecniche del ritorno alla redditività messa a segno nel 2021, scopriamo che a trascinare i bilanci, oltre all’aumento delle commissioni bancarie, ha provveduto “un costo del credito molto basso”, reso possibile dalle “garanzie prestate dallo Stato”. Quindi, ancora una volta soldi pubblici. Esattamente come tutto il resto: dagli esodi incentivati del personale in esubero, ai salvataggi miliardari tipo MPS.
E, allora, qualche dubbio sull’attuale distribuzione di ricchi dividendi agli azionisti delle grandi banche italiane che hanno goduto di massicci aiuti pubblici all’esplosione del Covid e durante tutto il lockdown, è legittimo. Perchè a ben guardare tutto questo assomiglia alla vecchia e vituperata prassi che, fino all’arrivo delle regole di Maastricht, consentiva a tanti di pubblicizzare le perdite e privatizzare i guadagni.