A meno di due mesi dalle elezioni presidenziali francesi, i sondaggi dicono Macron. Grazie alla crisi dei partiti francesi e a un quadro politico molto frammentato, sia a destra che a sinistra, l’attuale inquilino dell’Eliseo dovrebbe essere confermato per i prossimi cinque anni.
Le intenzioni di voto gli assegnano più o meno la stessa percentuale del 2017, quando, a soli 39 anni, e sempre grazie alla frammentazione dei vecchi partiti, riuscì a vincere doppiando Marine Le Pen. Partendo però dal 24 per cento (scarso) del primo turno, che poi è stato fin dall’inizio lo zoccolo duro del suo partito personale, En Marche. Ossia la formazione di centro con cui cinque anni fa scese in campo dichiarando superate le categorie destra e sinistra. Per liquidare in un sol colpo gollisti e socialisti, che in Francia si dividevano il potere da decenni.
Il problema è che i due vecchi partiti, nonostante la sconfitta del 2017 e l’inconsistenza dimostrata nel frattempo da En Marche, non sono ancora riusciti a superare le divisioni interne, né a ritrovare un progetto politico all’altezza dei tempi. Questo oggi consente a Macron di fare tranquillamente campagna elettorale nel ruolo che più gli piace, quello dello statista.
L’occasione gli viene offerta dalla presidenza di turno dell’Ue, che in questo primo semestre dell’anno tocca alla Francia. Ma al piglio deciso e alle grandiose dichiarazioni del Presidente non corrispondono i risultati. L’ultimo nulla di fatto è stato lo strombazzato vertice moscovita con Putin sulla situazione in Ucraina, un faccia a faccia annegato nell’ironia e negli sfottò sui social.
Inconsistente sul piano internazionale, il fondatore di En Marche in questi cinque anni di potere non è riuscito a fare granché nemmeno in Francia. Molte grandi riforme che ha cercato d’imporre dall’Eliseo sono finite nel nulla, dopo aver alimentato gilet gialli e violente rivolte di piazza.
Ma, come ha spiegato a Le Monde Brice Teinturier direttore generale di Ipsos, gigante globale nelle ricerche di mercato, la tenuta elettorale di Macron si spiega proprio con l’idea della Grandeur che egli incarna. Insomma, quel 20 per cento di elettori che riesce a mantenere al di là degli scarsi risultati politici sono soprattutto “fan che apprezzano il suo stile”. Quel misto di superbia e di accentramento del potere, quel modo di fare arrogante che ricorda quello di Giove, e che quindi i francesi definiscono “jupiteriano”.
Se questa analisi è corretta, la conclusione paradossale è che Macron, non disponendo di una vera e propria base elettorale ma di un’audience, ha potuto permettersi il fallimento politico. In realtà, a consentirgli di restare all’Eliseo oggi è la crisi della politica francese. Con la destra sovranista spaccata a metà tra Marine Le Pen e lo scissionista Èrice Zemmor, entrambi accreditati del 15 per cento. Mentre l’ex socialista Jean Luc Mèlanchon, il politico di sinistra che risulta più avanti nei sondaggi, non raggiunge nemmeno il 10 per cento.
Il collasso dei partiti in Francia e la conseguente probabile rielezione di Emmanuel Macron all’Eliseo pongono comunque una grande questione democratica che varca le Alpi e ci tocca da vicino. Il problema della rappresentanza politica.