Le Idi di Marzo. Anatomia
di un omicidio eccellente

La Curia, il Teatro con il Tempio di Venere e il portico che sta sul retro del muro di cinta del Teatro formano un unico complesso architettonico, che sorge in Campo Marzio (nell’area dei Templi di Torre Argentina). Pompeo ne ha fatto dono alla città e ha voluto inaugurarli nel giorno del suo 51° compleanno, il 29 settembre 55 a.C., quando era all’apice della sua gloria. Pochi anni dopo sarebbe stato ucciso in un agguato su una spiaggia in Egitto.

Cesare, Templi romani a Largo Argentina davanti alla Curia di Pompeo dove fu ucciso Cesare

Templi romani a Largo Argentina davanti alla Curia di Pompeo dove fu ucciso Cesare

Il portico è ornato da numerose statue. Dal suo lato breve, orientale, si accede a una sala di riunione, dove il Senato di Roma si riunisce da quando la Curia Ostilia è stata dismessa, in attesa che sia ultimata la nuova Curia, voluta da Cesare. La sala è lunga 25 metri e larga 15, e ha una superficie di 400 metri quadrati. Gli scranni dei senatori sono assiepati sui lati lunghi, su pedane a livello sfalsato; mentre i lati brevi sono liberi e adatti al passaggio.

Alle Idi di Marzo (15 marzo) del 44 a. C., Cesare fa ingresso in quella sala assieme a Decimo Bruto. Antonio, che si era unito a loro durante il tragitto, ha incontrato nel portico Trebonio, che lo ha trattenuto in un fitto chiacchiericcio. Trebonio è uno dei congiurati che vogliono assassinare Cesare. Antonio è già da tempo al corrente della cospirazione — ne è stato messo a parte in Spagna dallo stesso Trebonio —, ma non l’ha mai denunciata.

A sua volta, Cesare ha incontrato nel portico l’aruspice Spurinna. Gli ha fatto notare che «le Idi di Marzo sono giunte …!». Voleva dire: «Come vedi, non è successo nulla» (si riferiva al fatto che, giorni prima, Spurinna lo aveva ammonito a guardarsi dalle Idi di Marzo). Ma quello ha replicato «È vero, ma non sono ancora trascorse!». 

All’ingresso nella sala, uno sconosciuto porge a Cesare una pergamena, che il dittatore accetta, ma non leggerà. Il rotolo svela il piano d’azione dei congiurati e fa il nome di alcuni di essi. L’autore dello scritto raccomanda a Cesare di stare attento e invoca gli dèi affinché lo proteggano.

Cesare, Statua di Gaio Giulio Cesare

Statua di Gaio Giulio Cesare

Cesare sente a fior di pelle che qualcosa di clamoroso, se non di fatale, sta per succedere, e di essere un bersaglio. Finora ha però mostrato di non dare peso ai numerosi preannunci divini di avvenimenti infausti e non ha seguito i consigli alla prudenza della moglie e degli amici. Nelle ultime ore, però, a causa sia dei cattivi presagi, sia del fatto che si sentiva stanco e stressato, ha esitato a uscire di casa per andare in senato per tenervi un discorso. Poi Decimo Bruto si è presentato alla sua porta e, vedendolo indeciso, lo ha esortato a non deludere i senatori, in attesa di lui già da un po’. Cesare si è convinto a seguirlo forse perché rassicurato dal fatto che i senatori avevano giurato di vigilare sulla sua vita. Egli si fida ciecamente di Decimo Bruto (ignora che è uno dei congiurati).

Cesare supera le ultime resistenze di Calpurnia e congeda le proprie guardie del corpo ispaniche. Inspiegabilmente, mentre egli sta per uscire di casa, una statua che lo ritrae, collocata nell’atrio d’ingresso, si rovescia e va in pezzi. L’episodio, misteriosissimo, suona come un ennesimo avvertimento. Ma Cesare prosegue e si allontana in lettiga, scortato da 72 littori.

Un’abside nella sala di riunione nella Curia è occupata da una statua colossale di Pompeo. Vicino a essa vi è un altare. Cesare sacrifica una vittima su quell’ara, poi siede su un trono d’oro, posto pochi passi più avanti. Inizia a scrivere qualcosa su una tavoletta cerata, servendosi di uno stilo, quando una sessantina di senatori — i congiurati — gli si fanno intorno, come a volergli rendere omaggio. Il senatore Cimbro gli dice qualcosa, ma Cesare fa un gesto, come a voler dire «ne parliamo in un momento migliore». Cimbro, fingendosi contrariato, afferra Cesare per la toga sulle spalle e lo strattona. Cesare scatta in piedi ed esclama: «Questa è violenza!». Ma Casca si fa avanti e pugnala Cesare nel sottogola.

Cesare, Resti di templi romani a Largo Argentina

Resti di templi romani a Largo Argentina

L’aggredito geme, ma non parla, piuttosto afferra l’aggressore e lo trafigge a un braccio con lo stilo, poi indietreggia verso la statua di Pompeo, cui si addosserà, guardandosi attorno, con occhi torvi e spaventati. I congiurati, ciascun brandendo un pugnale, lo assalgono e lo tempestano di colpi, mentre i restanti senatori gridano per lo spavento e si allontanano, rovesciando i sedili. Cesare sprizza sangue da 22 ferite, tutte non mortali, salvo la seconda, che gli è stata inferta al volto da Longino. Perde le forze e barcolla. Sta per accasciarsi quando i suoi occhi incontrano quelli di Cepione Bruto. Gli rivolge un’espressione stupita e dolente, e dice: «Anche tu Bruto, figlio?». Bruto, rimanendo in silenzio, gli affonda una lama tra le costole. Cesare stramazza al suolo, lordando di sangue il basamento della statua di Pompeo. Agonizza per pochi attimi, si copre il capo con un lembo della toga e muore.

Cicerone aveva detto di Cesare che era capace di calpestare ogni principio umano e divino. Catone, che Cesare era capace di sacrificare ogni cosa sull’altare dell’ambizione. Antonio, nel pronunciare l’elogio funebre sul catafalco del defunto, dirà a sua volta che Cesare era un uomo ambizioso. Forse, però, Cesare non aveva tutte le colpe che gli erano state attribuite.

Era stato accusato di essersi impossessato di denaro pubblico, di avere fatto sempre il proprio interesse, mai quello di Roma; di avere spogliato gli alleati ispanici e i templi dei loro tesori; di avere truccato più di un’elezione politica; di avere praticato una politica demagogica e populistica; di avere ucciso un milione di Galli; di averne venduto come schiavi un altro milione; di avere fatto guerra alla Patria; di avere partecipato, forse perfino ispirato la congiura di Catilina; di avere tentato di salvare la vita ai Catilinari arrestati; di avere cumulato onori, privilegi e titoli come nessun altro prima di lui; di avere fatto collocare proprie statue in luoghi pubblici per suscitare un culto della personalità; di avere progettato di traferire la capitale dello Stato ad Alessandria.

Foro di Cesare

Era stato inoltre tacciato di impudicitia, di essere schiavo della sua libidine, di avere rapporti sessuali brutali, di avere sedotto donne maritate, di avere ripudiato la moglie. Più recentemente, gli era stato attribuito di volere scatenare una guerra ingiusta contro i Parti; e — per ultimo, ma non per importanza — di volere rovesciare la res publica e aspirare alla tirannide.

Nessuno dice che Cesare ha proposto e portato all’approvazione una proposta di legge anti-corruzione che ha introdotto norme severissime; che ha diffuso la civiltà tra genti che conoscevano solo la legge del più forte; che è stato clemente e generoso nella vittoria, nei confronti dei Romani che avevano combattuto contro di lui; che ha combattuto contro altri Romani perché vi era stato costretto dai suoi avversari politici; che ha rimborsato con gli interessi le somme che aveva prelevato dall’Erario; che ha ornato la Capitale con architetture monumentali.

Nessuno dice nemmeno che Cesare ha ripudiato Pompea perché costei aveva trescato con il tribuno

Statua di Cesare ai Fori Imperiali

Clodio ed egli — da pretore e pontefice massimo qual era — non poteva sopportare quella vergogna; che ha amato con trasporto le donne che gli si erano concesse; che ha amato Cleopatra VII, in particolare, per garantire la pace in Egitto e la continuità di fornitura di grano a Roma; che ha combattuto ora per difendere la res publica ora per accrescerne il territorio; che ha contribuito a far fallire il piano di azione rivoluzionaria di Catilina e poi ha proposto di salvare la vita ai Catilinari per risparmiare alla res publica mali peggiori; che ha sempre negato, a parole e con i fatti, di volere farsi re.

In fin dei conti, perché Cesare è stato ucciso? Asseritamente, per un astratto, filosofico principio di libertà. Di fatto, perché tentava di togliere il potere a coloro che comandavano da sempre. La “dittatura democratica” di Cesare avrebbe bensì cambiato in profondità il sistema, tuttavia avrebbe garantito una transizione pacifica e ordinata. Le prospettive che ora si delineano sono invece quelle del caos e della ripresa della guerra civile.