Il 15 marzo 44 a.C. Giulio Cesare viene assassinato nella Curia di Pompeo, durante una seduta del Senato di Roma. È un momento cruciale della Lunga Notte della res publica, che è iniziata nel 133 a.C. con l’ “ingresso dei pugnali del Foro”.
Nel 133 a.C., un tribuno della plebe aveva ucciso con un colpo in testa, inferto con la gamba di una sedia, il suo collega Tiberio Sempronio Gracco durante un sanguinoso moto di piazza, che era stato suscitato dagli Ottimati, la parte più conservatrice e retriva del Senato, ostile alla riforma agraria di Gracco, che la penalizzava. Era seguito un accanimento giudiziario nei confronti degli amici e sostenitori del magistrato ucciso. Nel 122 a.C., la storia si ripeté, con la morte violenta del fratello di Tiberio — Gaio —, avvenuta in circostanze simili, per ragioni analoghe.
Seguì il tentativo del Senato di cancellare la memoria dei due fratelli, che non riuscì, perché il nome dei Gracchi divenne un simbolo e una bandiera per il popolino, la parte più numerosa, ma anche la più svantaggiata della società romana.
L’ingresso dei pugnali nel Foro segnò l’inizio della fine del Periodo Repubblicano della storia dell’antica Roma. Iniziò un processo politico che doveva durare un secolo, causare la rottura dell’ordinamento costituzionale e la crisi del sistema politico, e registrare innumerevoli violenze, saccheggi e distruzioni. La Lunga Notte si concluse nel 27 a.C., con il cambiamento della forma di governo dello Stato, in pratica con il passaggio dalla formula del governo di pochi (quello della repubblica oligarchica, un sistema che vigeva dal 509 a.C.) al governo di uno solo (il Principato).
Essa fu cadenzata dall’ascesa e dalla caduta di numerose personalità di rilievo, tra cui innanzitutto Gaio Mario (157-86 a.C.) e Lucio Cornelio Silla (138-78 a.C.).
Mario fu console sette volte, trionfò due volte, vinse due guerre (Giugurtina, Cimbrica), fu salutato dal Senato e dal popolo in festa come Salvatore della Patria e Terzo Fondatore di Roma (terzo dopo Romolo e Furio Camillo). Era il capo dei Popolari, il movimento politico che aveva avuto origine dai Gracchi e difendeva la plebe di basso ceto. Morì nel suo letto, di malattia, dopo avere fatto guerra alla Patria, preso Roma con le armi e fatto strage dei suoi avversari politici.
Il regime politico instaurato da Mario fu spazzato via da Silla, già stretto collaboratore e amico del primo, poi divenuto un suo spietato nemico. Silla combattè prima contro Mario e poi contro i successori di questi alla guida dei Popolari nella Prima Guerra Civile. Vinse la I Guerra Mitridatica. Divenne dittatore a vita. A sua volta, sterminò gli avversari politici; lo fece in modo legale, mediante la Proscrizione. Anche lui morì nel suo letto, di malattia, circa un anno dopo essersi dimesso spontaneamente dalle sue cariche ed essersi ritirato a vita privata in una villa nelle campagne di Cuma, in Campania, protetto dai suoi veterani di guerra.
Si giunse così all’ultima generazione del Periodo Repubblicano, di cui facevano parte, tra gli altri, Pompeo, Crasso, Cicerone, Clodio, Lepido, ecc.
Un pronipote di Mario si chiamava Gaio ed era membro della famiglia Caesar, che apparteneva alla “gens Iulia”, uno dei clan familiari più nobili e antichi di Roma, che si vantava di discendere da Iulo, figlio dell’eroe troiano Enea. Iulo aveva fondato la città di Alba Longa e la dinastia dei re albani. Uno dei suoi discendenti, Romolo (753-717 a.C.), aveva fondato Roma e ne era stato il primo re. Le origini degli “Iulii” s’intrecciavano perciò con la leggenda delle origini di Roma.
Gaio Giulio Cesare (101/100-44 a.C.) tendeva a ricollegarsi alla memoria del prozio per apparire il suo erede politico e divenire il capo dei Popolari. Era un tipico prodotto della “junesse dorée” del suo tempo. Istruito e colto, sempre in cerca di denaro, avventuroso, ambizioso e determinato quanto mai, era un fine oratore giudiziario, un uomo politico, un comandante militare. Fu console cinque volte, proconsole delle Gallie romane (Narbonense, Cisalpina) e dell’Illirico, imperator, e dittatore a vita. Completò la conquista romana della Gallia Transalpina, sottomettendo l’Aquitania, la Belgica e la Celtica; sbarcò due volte in Britannia alla testa di un esercito; celebrò il trionfo quattro volte. Combattè e vinse contro Gneo Pompeo Magno e poi contro i Pompeiani. Pubblicò i resoconti delle sue imprese belliche, rivelandosi uno scrittore dallo stile scarno ed efficace. Fu ammazzato a pugnalate da un gruppo di senatori, che lo accusavano di volere farsi re e non avevano capito che era il punto di equilibrio del sistema.
La lettura del testamento del dittatore assassinato riservò una sorpresa. Marco Antonio, già collaboratore del defunto, e attualmente l’uomo forte della situazione, non fu nominato tra gli eredi principali, ma solo tra quelli secondari, contrariamente alle sue aspettative. Quale erede legittimo, quasi universale, dell’immenso patrimonio del defunto veniva invece designato un pronipote di Cesare, Gaio Ottavio Turino, adottato a questo scopo.
Ottavio era un diciottenne mingherlino e di salute cagionevole, dal viso delicato e dalle movenze eleganti, ben educato e istruito. Il suo carattere era serio e assennato, molto riservato. Era un individuo riflessivo, ma dalla volontà di ferro. Nei rapporti umani, si mostrava alquanto freddo e distaccato, fuorché con i suoi familiari e parenti stretti. Era un efebo dagli occhi di ghiaccio, che sorrideva a fatica. Il suo modo di pensare era improntato ai criteri tradizionali della moralità repubblicana. Aveva le idee chiare su ciò che voleva dalla vita e sul come fare per ottenerlo. Cesare lo stimava molto e si era riproposto di portarlo avanti.
In forza dell’adozione, Ottavio cambiò nome in Gaio Giulio Cesare Ottaviano, in ossequio alle regole dell’onomastica romana (in seguito avrebbe però usato firmare come Gaio Giulio Cesare, omettendo il resto). Seguì la Terza Guerra Civile, in cui Ottaviano combattè e vinse contro i Cesaricidi assieme a Marco Antonio. Poi Ottaviano e Antonio scesero in guerra l’uno contro l’altro. Antonio aveva come alleata Cleopatra VII (52-30 a.C.), regina-faraone d’Egitto. Antonio si era perso tra le braccia di Cleopatra, dimenticando la moglie e i figli che aspettavano il suo ritorno a Roma, e aveva generato con lei dei figli.
Cleopatra VII era una donna fatale. Prima di sedurre Antonio, era stata amante di Cesare, e da questa unione adulterina (anche Cesare era sposato) era nato Tolomeo Cesare, l’unico figlio maschio di Cesare, illegittimo.
La guerra civile fu decisa dalla Battaglia di Filippi (42 a.C.). La guerra contro l’Egitto Tolemaico, dalla Battaglia di Azio e dalla successiva Battaglia di Alessandria (31-30 a.C.). Nel 27 a.C., Ottaviano fu nominato “princeps senatus”, “primo senatore di Roma”, e fu chiamato “augustus”, ”colui che accresce la ricchezza, il benessere, la floridezza dello Stato, grazie al potere che riveste”, ma anche “venerabile, rispettabile” e, soprattutto, “protetto dagli dei”. Iniziava un nuovo capitolo della storia di Roma, quello imperiale, che si sarebbe protratto per poco più di 500 anni, fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.).