L’intenzione è lodevole: una marcia di massa di pacifisti alla volta di Kijv, offrire i propri corpi come “scudi umani”, e concretamente fare qualcosa contro la guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina. Il pensiero, forse maligno, è che in questo modo si intenda guadagnare una qualche postazione di “visibilità”, c’è. È innegabile; ma come si fa a fare un processo alle “intenzioni”? Certo si assiste a singolari iniziative che in qualche modo legittimano il sospetto che la “molla” non risponda solo a un afflato umanitario, ma anche all’amore per il beau geste, a una sorta di “protagonismo” vitalista.
C’è chi a questo sospetto replica ricordando quando, il 31 dicembre 1991, Marco Pannella, l’allora segretario del Partito Radicale Olivier Dupuis, e un’altra decina di dirigenti e militari radicali, si recarono a Osijek, in Croazia, martellata dall’artiglieria serba. Indossarono la divisa dell’esercito croato. Intendevano rappresentare, di fronte all’indifferenza dei Governi europei, l’urgenza di fermare l’aggressione sferrata dall’esercito di Slobodan Milosevic: «Materialmente e simbolicamente, politicamente e civilmente», disse Pannella, «indosso oggi l’uniforme dell’esercito croato, perché dal buon uso di questa uniforme passa oggi la lotta per il diritto alla vita e la vita del diritto, di tutti noi, di noi serbi, di noi albanesi, di noi macedoni, di noi italiani, di noi francesi, russi o tedeschi, di noi europei, degli abitanti del mondo. Passa l’ideale e la speranza di democrazia e di pace».
Poi, finalmente, l’Occidente e la NATO reagirono.
Oggi il contesto è completamente diverso. Non c’è una pubblica opinione apatica, tecnicamente ignorante. Oggi si assiste a una reazione decisa, ammirevolmente compatta, alla guerra sanguinosa scatenata da Putin. Ha dunque senso accorrere a Kijv, da inerti più che da inermi, e offrirsi quali “scudi umani” a ordigni che vengono scagliati proprio per colpire obiettivi civili e creare oltre che morte, terrore? Si può pensare che al Cremlino, impegnati come sono in una guerra di terrore che non risparmia bambini, disabili, anziani, donne, si facciano scrupolo di occidentali accorsi generosamente per interporsi tra i combattenti? Si auspica che possano essere a migliaia a marciare per la pace. E quelle migliaia, ove tali diventassero, con quale “prudenza” verrebbero convogliate, e ammassate in quelle zone? Non è una scampagnata di fine settimana; è come proporre di scalare l’Everest con scarpe da ginnastica. Se “qualcosa” accade, poi?
Certo: sono accorsi per qualche ora i leader di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia. Il primo ministro ceco Petr Fiala, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, il vice primo ministro polacco Jarosław Kaczyński e il primo ministro sloveno Janez Janša si sono incontrati con il presidente Volodymyr Zelensky, in rappresentanza del Consiglio Europeo; ma è stata una missione politica, non solo visita di solidarietà: rischiosa, ma non arrischiata; preparata, con la stessa prudenza che animava Pannella: senza andare allo sbaraglio, senza mandare allo sbaraglio persone animate indubbiamente da ottime intenzioni ma che in questo modo rischiano tuttavia di produrre più danni di benefici.
Generosa la parola d’ordine: «Tutti in Ucraina, usiamo i nostri corpi per fermare le bombe». Ma è da irresponsabili il voler portare, come si annuncia e promette, migliaia di persone a Kijv. Bene fa la Farnesina a ricordare che in Ucraina è in corso una guerra senza quartiere, che c’è il concreto rischio non solo di diventare possibili obiettivi, ma anche, letteralmente, ostaggi. È questo che ci chiedono gli ucraini?
Se si vuole visivamente e fisicamente portare solidarietà al popolo ucraino, forse è meglio organizzare manifestazioni a Mosca e nelle altre città russe (senza prima annunciarle), e unirsi ai tanti che in queste ore sfidano coraggiosamente la dittatura e dicono il loro NO alla guerra scatenata da Putin.
A fianco di Marina Ovsyannikova, la giornalista della televisione di Stato russa che si ribella e riesce a mostrare in diretta, durante l’edizione serale del telegiornale più seguito, un cartello con scritto: «No» alla guerra in inglese; e in russo: «Non credete alla propaganda, qui vi stanno mentendo». Di Anna Nemzer, la giornalista russa che dichiara pubblicamente: «Dovevamo capire che Putin è un assassino. Adesso però ribelliamoci». Di Svetlana Gannushkina, 80 anni, leader del Comitato di assistenza civica, da anni impegnata per l’affermazione dei diritti umani; più volte candidata al premio Nobel per la pace, manifesta contro la guerra in Ucraina, e viene fermata vicino alla stazione della metro Teatralnaya, al centro di Mosca.
Rilasciata, torna a manifestare; nuovamente fermata. Di Elena Chernenko, corrispondente di Kommersant, organizza una lettera aperta contro la guerra in Ucraina. «Non c’è alcuna giustificazione per la guerra…le azioni militari…non risolvono e non hanno mai risolto i problemi», si legge nel testo, firmato da 200 giornalisti. Il comportamento della Chernenko viene definito dalle autorità moscovite «non professionale» e le viene impedito di lavorare. Di Elena Kovalskaya, direttrice del Teatro statale e Centro Culturale Vsevolod Meyerhold di Mosca: si dimette dagli incarichi per protesta contro l’invasione dell’Ucraina. Definisce Putin un assassino: «È impossibile lavorare per lui e da lui riscuotere uno stipendio»…