La crisi ucraina fotografa Mario Draghi nell’insolita veste dello spettatore. Chi si aspettava di vederlo in un ruolo da protagonista, perfino come mediatore per conto di Bruxelles, è stato smentito dai fatti.
Erano passate poche ore dall’inizio dell’invasione russa ed Emmanuel Macron, presidente di turno dell’Unione europea, aveva già stabilito un filo diretto con il cancelliere Scholz. A partire da quel momento i due si sono mossi da soli tra Putin e Zelensky. Una conferma del fatto che l’Europa era e resta a trazione franco-tedesca. All’Italia tocca quindi un posto di seconda fila, anche adesso che a Palazzo Chigi c’è l’ex, stimato, presidente della Banca centrale europea.
SuperMario, escluso dalla Champions, si è dovuto accontentare dell’Europa League. E il 18 marzo, a Villa Madama, è sceso in campo con Costa, Mitsotakis e Sanchez. Cioè i colleghi dei paesi sud del Mediterraneo: Portogallo, Grecia e Spagna, quelli che una volta erano chiamati Pigs. Acronimo che identificava i parenti poveri dell’Unione.
Ma se per il nostro premier le cose non vanno benissimo sul fronte internazionale, c’è da registrare anche un appannamento in Italia. Fallita l’elezione al Quirinale, dopo essersi pubblicamente reso disponibile, Draghi si è indebolito. E ormai sembra aver perduto l’aura del fuoriclasse che, dopo aver commissariato i partiti, da Palazzo Chigi guidava il Paese dove voleva.
A dimostrarlo ci sono adesso le incertezze con cui ha affrontato l’esplosione dei prezzi energetici e le critiche con cui sono state accolte le misure del governo. La piccola tassazione degli extraprofitti e il taglio delle accise sui carburanti che scade ad aprile non sono all’altezza del bazooka imbracciato da SuperMario quando, da numero uno della Bce mise a tacere i rigoristi capeggiati dall’allora potentissimo ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble.