La globalizzazione che 30 anni fa è esplosa, perché, grazie alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, non trovava più ostacoli sul suo cammino, adesso è la prima vittima della guerra di Putin e del tentativo dello “zar” di allargare nuovamente i confini della Russia. Sono i paradossi della storia. Ma anche la conferma che le cosiddette leggi di mercato non possono sostituire la politica e le sue ragioni.
È infatti bastata l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe inviate dal Cremlino per gettare alle
ortiche un paio di decenni di comoda ambiguità politica dell’Occidente. O, meglio, di quel pezzo dell’Ue che, a partire dalla caduta del muro di Berlino, ha trovato economicamente conveniente allargare a macchia d’olio la dipendenza energetica dall’ex Urss. Ignorando qualsiasi cautela dettata dalla geopolitica.
Adesso, con il senno del poi, è troppo facile obiettare che l’allora potentissima cancelliera tedesca
Angela Merkel ha commesso un madornale errore ad autorizzare il gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, anche perché il via libera di Berlino è del 2014, lo stesso anno in cui Putin si annette la Crimea. E, quindi, solo un cieco poteva non vedere i rischi. In realtà, quella scelta della Merkel fu condivisa da tutta l’industria tedesca, dalla Cdu e anche dagli alleati della Spd.
Ma lo stesso discorso vale per l’Italia, che, una volta abbandonato il nucleare e senza una politica energetica, ha preferito imboccare la facile scorciatoia del gas russo fino a raggiungere l’incredibile dipendenza del 40 per cento. Insomma, siccome gli idrocarburi russi erano i meno cari sul mercato, è semplicemente accaduto che per una ventina d’anni tutti i nostri governi hanno preferito importarli sorvolando sulla situazione politica di Mosca. Sul fatto che Putin voleva fare dell’energia l’architrave del ritorno della potenza russa a livello internazionale. E nemmeno lo nascondeva.
Adesso, però, la logica della pura convenienza economica presenta il conto. Ed è un conto molto salato, visto che l’aggressione russa all’Ucraina ha messo a nudo tutta la fragilità dei calcoli mercantili di quei paesi che si sono legati mani e piedi a Putin. A cominciare dall’Italia, che non ha fatto nulla per rendersi meno dipendente possibile dalle importazioni energetiche ma anche di tutte le materie prime essenziali.
Infatti abbiamo pensato bene di ridurre perfino la produzione di grano italiano, sempre perché al momento costava meno comprarlo all’estero. E così il paese della pasta e della pizza, nel 2020, è riuscito ad importare il 60 per cento del grano duro e il 40 di quello tenero.