Un’opera «sovradimensionata», realizzata su un terreno con «problemi di subsidenza», cioè franoso. E dopo – giusto per non farsi mancare niente – oggetto di una «gestione irragionevole e sconsiderata». È questo l’impietoso verdetto della Corte dei Conti sulla “nuova Fiera di Roma” inaugurata nell’aprile 2006 a Ponte Galeria, e finita in un buco nero da 251 milioni di euro.
Un debito monstre, che, come è scritto nella relazione della Corte, «si trascinerà per anni nei bilanci pubblici», e per il quale adesso il Tribunale contabile chiama a rispondere 8 persone, tra ex amministratori e membri del Cda della società Investimenti. Ma gli errori degli indagati non potranno mai cancellare le responsabilità dei politici, le colpe di chi, a partire dall’inizio degli anni Duemila, ha voluto il polo fieristico di Ponte Galeria.
Correva l’anno 2001, Walter Veltroni aveva appena deciso di dare una scossa alla sua carriera politica candidandosi alla guida del Campidoglio. E così, diventato sindaco di Roma, aveva aperto il suo libro dei sogni per il “decollo” dell’Urbe. Tra questi, spiccava la chiusura della vecchia Fiera sulla Colombo e l’apertura di un nuovo, grande spazio sulla Roma-Fiumicino.
Il sogno veltroniano prevedeva un investimento di 355 milioni di euro. Il polo espositivo doveva diventare un «fiore all’occhiello e competere con le maggiori realtà fieristiche europee allineando Roma alle grandi capitali».
Sottoscritto l’accordo di programma per il trasloco del popolo fieristico sui terreni del gruppo Toti, nessuno si preoccupò del fatto che la zona era a rischio di sprofondamento. La vendita della vecchia sede di via Cristoforo Colombo, che avrebbe dovuto finanziare la costruzione della nuova non andò in porto, e il problema dei soldi fu risolto con un oneroso prestito di 200 milioni concesso da Unicredit, ma – viste le condizioni del terreno – con una serie di clausole che avrebbero prodotto “nuovi costi” aggravando “la posizione debitoria”.
Anche perché, una volta inaugurata, la struttura espositiva fu gestita malissimo e si trasformò presto in un gigantesco flop. Il risultato è che la vecchia Fiera, chiusa e in stato di abbandono, non è stata mai venduta e alla fine Roma non solo non si è allineata alle grandi capitali europee, ma di fatto è rimasta senza un polo fieristico.
Questo rende il bilancio dell’operazione veltroniana ancora più pesante. Comunque sia, in politica guardare al recente passato non è mai un esercizio sterile. Infatti una classe politica può essere giudicata sul serio solo qualche anno dopo la sua uscita di scena, facendo un approfondito rendiconto della sua azione di governo. Quindi, per valutare l’eredità lasciata dalla sinistra dem di Walter Veltroni alla capitale, basta leggere l’ultima, impietosa analisi fatta dalla Procura della Corte dei Conti sul disastro del polo fieristico di Ponte Galeria.