Il governo Draghi fibrilla per mille motivi diversi. Sul fronte internazionale: le armi a Kiev per difendersi dalla Russia, il gas alle stelle per la guerra, i costi sull’economia italiana per le sanzioni decise contro Putin dai paesi occidentali.
Il governo di unità nazionale sul fronte interno ha problemi meno drammatici ma non meno insidiosi da affrontare: la riforma della concorrenza, del codice degli appalti, del fisco, della giustizia. Sulle cosiddette riforme strutturali sono aperti forti contrasti tra i partiti della coalizione e al loro interno.
Draghi è cosciente della difficile navigazione del suo esecutivo di unità nazionale. Tuttavia è fiducioso. In una intervista al Corriere della Sera lancia un messaggio ai partiti della maggioranza di grande coalizione: «…non sentitevi in gabbia, progettate il futuro con ottimismo e fiducia, non con antagonismo e avversità». Il presidente del Consiglio invita i partiti a guardare «ai successi» ottenuti in 14 mesi molto difficili di governo, quando l’Italia era in ginocchio per il Coronavirus.
Certo gli scontri tra i partiti della maggioranza sono forti: sull’invio delle armi a Kiev, ad esempio, il leghista Salvini ha molti dubbi, il democratico Letta è decisamente a favore, mentre il grillino Conte se la deve vedere con ampie critiche all’interno dei cinquestelle. In qualche caso il governo va sotto in Parlamento, molte volte deve ricorrere al voto di fiducia per far passare i provvedimenti più importanti e a rischio. Le riforme del fisco, concorrenza, appalti, giustizia nei prossimi giorni avranno una prova del fuoco nelle votazioni in Parlamento.
Draghi è stanco, dirà addio? L’ex presidente della Banca centrale europea smentisce l’ipotesi girata sui giornali di voler gettare la spugna: «Non sono stanco». Però non resterà a tutti i costi perché, avverte, ha l’intenzione «di governare, affrontare le emergenze». Precisa: «Questo è decisivo».
Rassicura i partiti. Sostiene la necessità di percorrere la via maestra di «una persona scelta dagli italiani» come presidente del Consiglio. Ora invece a causa di «situazioni di emergenza», a capo del governo c’è lui, un tecnico non eletto in Parlamento, un economista scelto nel febbraio 2021 da Mattarella per combattere l’emergenza sanitaria ed economica del Covid. Indica il futuro: non si presenterà candidato nelle elezioni politiche del 2023: «È estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza». Parteciperà alle elezioni, assicura, come «semplice elettore».
Finirà così? Vedremo. In molti vedrebbero di buon occhio la nascita di un partito di Draghi. Qualcuno starebbe anche valutando un progetto soprattutto tra i raggruppamenti centristi. Una cosa è certa. Mario Monti, un altro economista, un altro tecnico divenuto presidente del Consiglio alla fine fondò Scelta Civica e si candidò nelle elezioni del 2013. Certo il partito di Monti ebbe ben poca fortuna e subito naufragò. Qualcuno, nel caso di Draghi, suggerisce un’altra strada: consiglia di lasciare fuori dalle beghe elettorali l’ex presidente della Bce facendo assumere la leadership del suo partito a un altro personaggio. Poi Draghi, in caso di successo, potrebbe divenire di nuovo presidente del Consiglio.