E se ne va, in questo aprile crudele, anche Valerio Evangelisti, impareggiabile scrittore di fantasy. Un classico, il suo ciclo di romanzi con protagonista l’inquisitore domenicano Nicolas Eymerich. Si va via sempre troppo presto, ma farlo a 69 anni come Evangelisti, ha del crudele e dell’ingiusto.
Anche lui figlio di quella Bologna che non può non avere nel cuore chi ha avuto la fortuna di studiarvi in quel tempo magico e fatale che furono i Settanta del secolo scorso: gli anni di un grande sindaco, Renato Zangheri, che pure tante ne ha dovuto subire, compresa la messa a fuoco del suo ristorante preferito, in piazzetta Verdi; con un DAMS effervescente e “pazzo”, un movimento che davvero si muoveva per ogni dove, oggi mito, pur con la sua brava tara di scempiaggini e corbellerie; e lui rigoroso militante di una sinistra minoritaria da cui si può dissentire per mille validissime ragioni, ma con la grande dote di saper sognare: non fosse che per questo solo, da apprezzare e rispettare.
Loredana Lipperini, giornalista culturale versatile e di palato fine ma non lezioso, ha ragione quando, nel piangerlo, ricorda che «ha immaginato strade impensabili per la narrativa non realistica, ma non solo». È sommamente ingiusto ingabbiarlo nel solo fantasy, anche se è il genere che gli ha procurato maggiore notorietà. Meritatissimo comunque, nel 1993, il premio Urania. L’anno dopo il suo Nicolas Eymerich Inquisitore è il titolo più venduto: 17 mila copie. Mai uno scrittore italiano di fantasy aveva raggiunto quella vetta. Poi altri successi: nel 1998, il Grand Prix de l’Imaginaire; l’anno dopo il “Prix Tour Eiffel”: in Francia i più prestigiosi per quel che riguarda la letteratura di fantascienza. Questo senza dimenticare la trilogia Magus. Il romanzo di Nostradamus, la trade Cartagena, gli ultimi della Tortuga, la fiction storica, Il sole dell’avvenire: famiglie di braccianti dell’Emilia-Romagna dal 1875 al 1950.
Nel ricordo di questo autore, spontaneo sfogliare vecchie copie sopravvissute all’usura del tempo della mondadoriana “Urania”, anni Sessanta, le illustrazioni delle copertine firmate da Karel Thole. Nella collana autori come Isaac Asimov, Arthur C. Clarke, James. G. Ballard, per dire dei più celebrati; e nessuno italiano, ufficiale. Curiose le pubblicità che accompagnano questi libri. In Metà A, metà B, di Asimov e Alfred Bester, la seconda di copertina segnala Il poeta e il politico e altri saggi, di Salvatore Quasimodo. A pag. 29 si pubblicizza un Dashiell Hammett, L’istinto della caccia, con i volti di Humprey Bogart e di James Cagney; un Dove va la Cina? di Robert Guillain; e ancora: Ginevra Bompiani con Bartelemi all’ombra, le Lettere famigliari, di Luigi Cadorna; Tappeto volante, di Francesco Leonetti; Il Vaticano che cambia, di Alberto Cavallari; il Rapporto da Hanoi di Harrison E. Salisbury; e non mancavano, come intermezzo, le strip B.C. di Johnny Hart, e Il mago Wiz, di Brant Parker e ancora Hart.
In Terra bruciata di Ballard si pubblicizza Luigi Barzini, il suo Gli italiani; e autori quali Pier Antonio Quarantotto Gambini, Leonardo Ricci, Giuseppe Antonio Borgese, Giancarlo Vigorelli, Jean Guitton, Antonio Banfi, Felice Ippolito, Vittorio Sereni, Luca Canali, Giulio Carlo Argan… Segno che i lettori di Urania e di fantascienza erano capaci anche di tenere i piedi ben saldi alla terra, e a loro si offrivano letture non da principianti. Del resto, i direttori della collana si chiamavano Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Un discorso che converrà riprendere e sviluppare. Le implicazioni possono essere sorprendenti.
In quanto a Evangelisti: con lui si vola lontano; è un pensiero fatto di un futuro fantasticato, e un passato rimpianto. Buona passeggiata in quei mondi che oggi faremo più fatica a sognare.