Il caso più attuale e scottante investe Gerhard Schroeder, l’ex cancelliere tedesco amico di Putin, che mantiene i suoi ricchi incarichi nei Consigli delle aziende russe del petrolio e del gas, nonostante l’invasione dell’Ucraina e le atrocità di cui vengono accusate le truppe mandate da Mosca.
Ma c’è voluta l’intervista di Schroeder al New York Times in difesa dello “zar” («Non è stato Putin a ordinare i massacri di Bucha») per far montare la protesta dentro la Spd, dove adesso molti vorrebbero buttarlo fuori.
Il problema è che Olaf Scholz, ora alla guida del governo di Berlino, ha scelto la prudenza e sta cercando di spingere l’ex cancelliere ad andarsene via da solo. Perché, come ha sottolineato la copresidente dei socialdemocratici tedeschi Saskia Esken, «Ormai agisce da anni come un uomo d’affari, e dovremmo smetterla di percepirlo come un uomo di Stato», quindi «dovrebbe lasciare il partito». E così la polemica si sta allargando a macchia d’olio.
Intanto in Italia ha fatto rumore (poco) la vicenda della maxi-commessa di armi italiane al governo della Colombia. Con un altro ex premier di sinistra, Massimo D’Alema, intercettato e registrato mentre parlava della mediazione per vendere ai colombiani navi, elicotteri e armamenti prodotti da due colossi pubblici come Fincantieri e Leonardo: «Alla chiusura dell’affare, tutti noi riceveremo 80 milioni» di euro…
Anche qui, grande imbarazzo a sinistra. Con Articolo Uno che alla fine ha detto di fidarsi delle spiegazioni di D’Alema, secondo cui non avrebbe fatto nulla di illegale. Il tutto senza nemmeno un accenno a quella “questione morale” che il Pci guidato da Enrico Berlinguer sventolava come una bandiera. Ancora peggio ha fatto il Pd di Enrico Letta, che ha preferito trincerarsi dietro il silenzio. Incurante del fatto che Massimo D’Alema è tutt’ora il primo e unico premier proveniente dalla sinistra Pci-Pds-Ds, da cui a ottobre del 2007 è nato il Partito Democratico.
Tutt’altra partita ha giocato invece, a Lisbona, il segretario del PS Antonio Costa che – non a caso – a gennaio ha vinto le elezioni conquistando la maggioranza assoluta e la conferma alla guida del governo. A dimostrazione del fatto che lui invece era riuscito ad allontanare il fantasma del caso Socrates, l’ex leader socialista che era stato arrestato nel 2014 con l’accusa di corruzione, poi processato e infine rinviato a giudizio per riciclaggio di denaro e falsificazione di documenti.
Dopo aver vinto la sua scommessa e stravinto le ultime politiche, Costa ha quindi deciso di chiudere definitivamente i conti con Socrates. Lo ha fatto con un’intervista in cui, dopo sette anni e mezzo, ha parlato della sua visita nel carcere di Evora e delle impressioni che ricavò dall’incontro: «Socrates ingannò noi e il Partito Socialista». Ad ogni modo, per capire che cosa è accaduto veramente in questi sette anni e mezzo, bisogna però riavvolgere il nastro della memoria e tornare alle immagini dell’epoca.
È il 31 dicembre 2014 e l’ex premier è in carcere da 40 giorni. Costa guida il Partito Socialista da un mese, dopo aver sconfitto alle primarie il segretario uscente, Seguro. José Socrates rappresenta una minaccia per Costa e una bomba a orologeria per tutto il Partito. E qui il nuovo segretario mostra tutta la sua abilità. Dopo
aver dichiarato «fiducia nella giustizia», rinvia di giorno in giorno il viaggio a Evora. Non vuole fare errori. Si presenta in carcere l’ultimo dell’anno, insieme al padre nobile socialista Mario Soares. E chiarisce subito che si tratta di una «visita personale» senza «nulla di ufficiale».
Il messaggio è che il nuovo PS non ha più niente a che fare con l’ex leader. La separazione dei destini risulterà ancora più netta e irreversibile all’uscita dal carcere. Qui, rispondendo alla domanda di un giornalista, Costa mostra tutta la sua lucida freddezza con parole che ancora adesso vengono spesso ricordate nei commenti politici dei giornali portoghesi: «Socrates è un grande lottatore. Naturalmente, adesso, è in lotta per la sua verità». La «sua verità…». Amen.