La domanda, semplice semplice, è: cosa succede? Com’è possibile che ci sia questa sorta di epidemia che ottunde tanti cervelli, provoca incredibili amnesie, dimenticanze, stravolgimenti? Figuriamoci se si invocano censure. Giammai. Tuttavia, “ogni limite ha una pazienza”, sbotterebbe il sommo Totò; pazienza e limiti sono messi a dura prova. Già è un mistero come mai, in nome del principio volterriano del battersi a morte pur di consentire che “l’altro” possa esprimersi (peraltro sembra che Voltaire non si sia mai sognato di dirlo), e per tutelarci dal “pensiero unico dominante” ogni giorno si devono sopportare
le concioni di un Fulvio Grimaldi, un Alessandro Orsini, un Michele Santoro, un Marco Travaglio. Le Bianche Berlinguer, i Giovanni Floris, i Corrado Formigli sono convinti che così si fa audience, e che pur di far spettacolo si deve propinare anche e perfino un Alessandro Di Battista? Va bene, si è pur sempre “armati” di telecomando, alle brutte si spegne tutto e si legge un buon libro. Il problema però rimane: a cosa si deve questo ottundimento, le “amnesie” e confusioni? Non mi riferisco tanto a casi eclatanti come quelli se Hitler voleva o no la guerra, se la NATO, gli USA e Joe Biden siano criminali al pari di Putin, se i nonni sotto il fascismo siano cresciuti felici o no; se i nazisti si siano comportati cavallerescamente, salvo qualche eccezione. Di tutta evidenza che si tratta di frasi studiate ad arte per “épater le bourgeois”, e guadagnarsi così la successiva “ospitata”. Non si farà il favore di cadere in queste trappole.
Sono altre le affermazioni che stupiscono e un po’ inquietano. Esempi sparsi, tra i tanti. L’ambasciatore Sergio Romano, attento analista e posato commentatore. Si può non concordare, ma merita sempre attenzione. Magari eccessivamente “realista”, ma leggerlo, ascoltarlo, si deve. Lo intervista Il Fatto, ovviamente sulla guerra scatenata da Vladimir Putin. La Russia la conosce bene, ambasciatore a Mosca per anni. Per ben due volte definisce il conflitto “guerra civile”. Come, “civile”? La Russia aggredisce militarmente la confinante Ucraina… Come di fa a rubricare questa guerra d’aggressione in “civile”?
Soccorre la Treccani: «Conflitto combattuto tra i cittadini di uno stesso Stato diviso in fazioni. Per es. si chiamano g.c. le guerre intestine combattute a Roma nell’ultimo secolo della Repubblica (1° sec. a.C.), in conseguenza della crisi degli ordinamenti costituzionali. G.c. è considerato anche il conflitto che si svolge all’interno di uno Stato tra il governo e gli insorti che gli si oppongono con la lotta armata (per es. Stati membri di una federazione in lotta contro il governo federale). Più recentemente in Italia si è parlato di g.c. anche a proposito della Resistenza, che non fu solo un movimento di liberazione contro gli occupanti tedeschi, ma una g.c. tra italiani schierati su fronti contrapposti».
Non mi pare che si possa parlare nel caso del conflitto russo-ucraino di “guerra civile”.
La perplessità aumenta nel leggere che per Romano, in fin dei conti si tratta dello stesso popolo affratellato da una identica lingua. Russo e ucraino identica lingua? Ma se ai tempi dell’URSS, le badanti ucraine in Italia di una certa età ce lo ricordano bene, il russo era la lingua ufficiale imposta, l’ucraino lo si poteva parlare in famiglia, di nascosto…
È Il Fatto che prende fischi per fiaschi? Capita ai migliori. Ma ecco un’intervista a Il Dubbio. Romano sostiene che la Russia ha «vinto due guerre mondiali». Come come? La Seconda viene vinta dall’Urss di Stalin, ma assieme agli alleati statunitensi, britannici, ecc.; non è particolare secondario. Ma come la mettiamo con la prima? Quando e come la Russia l’avrebbe vinta? Nel 1917 un impero russo stremato è costretto a cedere il potere alla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa di Vladimir Lenin, e la prima mossa del suo governo è intavolare trattative per uscire dalla guerra: con il trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918 la Russia esce dal conflitto; ma non è certo una vittoria. E comunque la guerra continua su tutti gli altri fronti, fino alla sconfitta degli Imperi centrali.
Toni Capuozzo non è commentatore da divano. Ha vissuto in prima persona una quantità di conflitti. Il suo orrore alla guerra è autentico, lo capisci che tante ne ha viste, e più di quelle che ha raccontato. Però… Il Dubbio gli chiede cosa si può fare per fermare la guerra in Ucraina. Forse una resistenza di massa nonviolenta, propone Capuozzo. Chissà; forse… Ci vuole una “massa” capace di farla, quel tipo di guerra. Ci vogliono aggressori di un certo tipo, che so, gli inglesi che si trova davanti Gandhi, e che pure non ci andavano con mano leggera. Con kapò di nome e di fatto, forse funziona poco. Comunque: è il caso dell’Ucraina? Se ne può discutere. Ma è il successivo passaggio che lascia perplessi.
Per Capuozzo «il socialismo reale e il mondo sovietico sono crollati sotto la spinta dei popoli che vedevano nell’altra parte dell’Europa la libertà. Il muro di Berlino non è caduto sotto i colpi dei carri armati». Anche no. Il socialismo reale è caduto perché edificio marcio con fondamenta di sabbia: un sistema fallimentare e fallito, produttore di miseria e oppressione. Cade perché in Occidente ci sono tre personalità che si chiamano Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, Margaret Thatcher, Ronald Reagan. Perché prima del famoso discorso di Reagan il 12 giugno 1987 alla porta di Brandeburgo in occasione dei 750 anni di Berlino («Mr. Gorbaciov…tear down this wall!», «Mr. Gorbaciov, abbatta questo muro!»), con pazienza e tenacia, poche persone e organizzazioni politiche (In Italia Marco Pannella, Bettino Craxi, il Partito Radicale, il Partito Socialista) sostengono i dissidenti dell’allora URSS ed Europa dell’Est, danno loro voce, ne sostengono le cause della libertà, del diritto e della democrazia nei loro paesi.
Su l’Espresso un grande inviato, Bernardo, scrive un articolo che si condivide parola per parola, punteggiatura, pause, tutto: scrive da par suo quello che va scritto, ricorda quello che non si dovrebbe mai dimenticare. Però… Ecco: si può dimenticare solo quello che prima ci è stato detto, raccontato. All’epoca, i primi anni di questo secolo, quanti hanno fatto quello che oggi fa Valli con il suo Era già Putin vent’anni fa?
Valli loda, e fa benissimo, la riedizione di La Russia di Putin, un bellissimo e struggente libro di Anna Politkovskaja, coraggiosa giornalista che per le sue denunce e i suoi martellanti articoli, alla fine viene uccisa dai killer di Putin. Raccontava, denunciava gli orrori che i russi hanno perpetrato in Cecenia, in tutto e per tutto identici a quelli di cui sono oggi responsabili in Ucraina. In quegli anni quanti hanno avuto la possibilità di leggere articoli da cui si poteva desumere che Era già Putin? Quanti hanno recensito, come lui oggi recensisce, quel libro? Al funerale di Anna Politkovskaja quanti leader politici occidentali seguono la sua bara? È importante ricordare che, unico di tutto il Parlamento Europeo, c’era Marco Pannella; ma ancora più importante è chiedersi perché solo lui; perché nessun altro è andato. È un “particolare” che Valli nel suo eccellente articolo, tralascia. Peccato. È un interrogativo sul quale è utile cercare una risposta. Magari da lì si può cominciare a comprendere il perché del vergognoso dire, oggi, dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder; che forse è in una compagnia più folta di quanto si può immaginare.
A proposito di Anna Politkovskaja: non è l’unica giornalista russa uccisa per quel che scriveva e denunciava. È una lista sterminata, quella dei coraggiosi che hanno pagato con la vita il loro impegno per “conoscere” e raccontare; e sia consentito, ricordare tra loro gli italiani Antonio Russo e Andrea Tamburi. Anche loro meriterebbero di essere “raccontati” dall’eccellente penna di Valli.
Albert Camus ci ricorda che la tirannide totalitaria non si edifica sulle virtù dei totalitari, ma sugli errori dei liberali. Semplice, chiaro, definitivo; da ricordare sempre.
PS.: Sono ancora alle prese con questa nota, e scoppia la bufera sul caso del ministro degli Esteri Sergei Lavrov intervistato da Giuseppe Brindisi per Zona Bianca. Apriti cielo. Lavrov ha detto cose abominevoli, e cosa ci si può aspettare, visto che appartiene al gruppo di tagliagole seguace di Putin? Però, ragazzi, qualcuno esagera, va fuori di testa. Sentite Enrico Borghi, leghista, e del Comitato Parlamentare di Controllo sui servizi di sicurezza; con sprezzo del ridicolo, dimenticando le allegre scampagnate alla piazza Rossa e all’hotel Metropol di Mosca dice: «Il comizio di Lavrov in TV mette in pericolo la nostra sicurezza e aggira le sanzioni. Ora basta!». Quanto ai colleghi che in queste ore storcono il naso e si producono in tanti lamentosi gné gné, scandalizzati, e rimproverano Giuseppe Brindisi che doveva chiedere, doveva ribattere, doveva replicare… Su non facciamo gli ipocriti: quell’intervista l’avremmo fatta di corsa anche noi, ne avessimo avuta la possibilità. Senza “se” e senza “ma”.