Si chiama Termopili uno stretto passaggio tra il monte Eta e una palude costiera, dove gorgogliano alcune sorgenti di acque calde. È la porta d’ingresso alla Grecia centrale, provenendo da nord. Vi si passa attraverso, percorrendo una moderna strada extra-urbana, a fianco della quale c’è un monumento che raffigura un leone e reca un’iscrizione.
Lo stato dei luoghi è oggi cambiato rispetto a una volta, ma basta leggere quelle parole incise nella pietra per riportarsi indietro nel tempo. Le parole sono quelle di Simonide, un poeta lirico greco vissuto nel V e nel IV secolo a.C.: «Vai o viandante, e dì agli Spartani che noi qui giaciamo, obbedienti alle loro leggi.» L’episodio evocato è l’eroico sacrificio che evitò che la Grecia divenisse schiava di Serse I, re e imperatore dei Persiani, che l’aveva invasa.
La Battaglia delle Termopili fu combattuta sul finire dell’estate del 480 a.C.. 7.000 Greci, comandati da Leonida, re di Sparta, si erano concentrati nell’area del Passo per fare fronte a 70.000 Persiani, se non a 300.000. I Greci resistettero fino a quando un pastore del luogo non rivelò ai Persiani un modo per aggirare le posizioni dei Greci. Leonida congedò il grosso delle sue forze e rimase a vigilare il Passo con 1.000 tra Spartani, Tespiesi e Tebani, e forse con alcune centinaia di schiavi. All’arrivo dei Persiani si accese la battaglia, che proseguì per tre giorni e si concluse con la morte di quasi tutti i resistenti, compreso Leonida. Il sacrificio del re di Sparta e dei suoi uomini non fu vano, perché diede agli altri Greci il tempo di concentrare una numerosa flotta nella Baia di Salamina. Seguì la rovinosa sconfitta dei Persiani in un’epica battaglia navale. Serse valutò che era meglio ritirarsi e tornò in patria con una parte dell’esercito, ma lasciò al suo generale Mardonio il compito di portare avanti la conquista della Grecia con la restante parte. L’anno successivo Mardonio fu definitivamente sconfitto dai Greci nella Battaglia di Platea.
Un qualcosa di analogo all’episodio delle Termopili sta oggi avvenendo a Mariupol, dove un migliaio di soldati ucraini e di militari del Battaglione Azov (un reparto di estrema destra con simpatie neonaziste), asserragliati nell’acciaieria Azovstal si oppongono al completamento della conquista della città da parte dell’esercito russo. Quest’ultimo sta utilizzando tutte le armi a sua disposizione per sopraffare quei combattenti, ben sapendo che Mariupol non potrà dirsi conquistata finché una bandiera gialloblu continuerà a sventolare sulle sue rovine; fino a quel momento non potrà cantare vittoria. Dire che i resistenti di Mariupol sono in inferiorità numerica e non dispongono delle armi pesanti e sofisticate del nemico. Niente cannoni, niente aerei da combattimento, niente missili. Nonostante ciò, resistono. C’è qualcosa di epico in questo. Ma la loro sofferenza non è inutile. La Battaglia dell’Azovstal sta dando al resto dell’esercito ucraino il tempo di ricevere e imparare ad usare le modernissime armi pesanti che potranno consentirgli di passare alla controffensiva.
I soldati ucraini dell’Azovstal stanno ritagliandosi un posto nella Storia, non solo nella storia militare dell’Ucraina, ma in quella di tutto l’Occidente, che ha ormai nell’Ucraina una sua parte integrante. Il loro coraggio, il loro valore, la loro determinazione a resistere a qualsiasi prezzo — cioè, anche a prezzo della loro vita —, rimarranno scolpiti nella memoria dei popoli liberi. Il loro eroismo diverrà leggenda.