Il “metodo” è quello inventato da Bruno Vespa, una vera “macchina da guerra”, da questo punto di vista: sforna un annuale libro, poi sapientemente seleziona paragrafi e capitoli, distribuendoli a quotidiani e riviste: a ciascuno qualche “chicca”, un sapido retroscena; in redazione non si affaticano in recensioni, la pubblicità è comunque garantita.
Matteo Renzi per il lancio del suo Il mostro segue le vespiane orme. La domenica, quando c’è più tempo per leggere, e ci si può anche dedicare a Matteo il Magnifico, una raffica di anticipazioni: Avvenire, Corriere della Sera, Giornale, La Verità, Libero, Mattino, Messaggero, Repubblica, Stampa, e certamente qualcuno sfugge. Per ognuno, un estratto, a seconda degli orientamenti, delle diverse “filosofie”: la giustizia che si è accanita; i temi etici; le questioni energetiche; le tresche per l’elezione del presidente della Repubblica. Aver letto la dozzina di quotidiani, uno si potrebbe anche risparmiare l’acquisto del libro, non lo si fosse già ordinato.
Però no: resta inappagata una curiosità, e non di poco conto. Nessuno dei capitoli affronta una questione che si è cercato di sollevare un paio di volte, e vai a sapere perché i giornali che hanno ospitato le anticipazioni non ne hanno chiesto conto; e neanche il COPASIR, che dovrebbe essere quel Comitato Parlamentare che controlla l’attività dei servizi di sicurezza italiani, più interessato, sembra, a cercare di capire se ospiti televisivi partigiani prima no-Vax e ora pro-Putin siano pagati o le loro prestazioni siano a titolo gratuito (per questo è in programma un viaggio a Washington; una teleconferenza via skype non basterebbe?).
Il 5 maggio scorso Aldo Torchiaro, pubblica un articolo su Il Riformista, che ingolosisce: «Di questo
Mostro sono in tanti ad avere paura. Non è ancora uscito ma c’è chi trema: perché di Renzi arrabbiato nero c’è da tenersi alla larga. Se possibile. E invece questa volta investe tutti di brutto…si preannuncia come un terremoto. Con tutti i nomi dei politici, dei giornalisti, dei magistrati. Con tutte le circostanze, i misfatti e i segreti su cui qualcuno aveva provato a far calare il sipario. Chi lo ha potuto sfogliare in anteprima, in queste ore, dice che non risparmierà nessuno, farà nomi e cognomi puntando anche alla vicenda dei servizi segreti…La bomba che sta per abbattersi sui palazzi del potere è di quelle che non passeranno inosservate. RAI, giustizia, populisti e toghe ne usciranno assai male. Ma non possiamo anticipare purtroppo neanche una parola di più…».
Dai capitoli anticipati il libro ha più l’aria di essere una pistola ad acqua che schizza liquidi che non lasciano traccia. Soprattutto resta inappagato quanto preannunciato dallo stesso Renzi, i cui rapporti con i magistrati fiorentini, notoriamente, sono al calor bianco: «Scriverò di tutti i tentativi di dossieraggio subiti dai servizi segreti, così se mi succede qualcosa, almeno è agli atti…».
Tentativi di dossieraggio subiti, patiti dai servizi segreti italiani; accompagnati da un timore piuttosto concreto: quello di fare la fine di un Aleksandr Litvinenko. Scherzava, per il suo innato gusto iperbolico?
Lo dica e non ci si pensa più. Si è anche disposti a credere allo scambio di biscotti “Babbi” alla stazione di servizio con Marco Mancini. Se invece no…
In attesa di saperne di più, la lettura di un interessante inserto de L’Espresso: 1992, l’estate che cambiò la storia. Figuriamoci se non si guarda con favore questo coltivare memoria e ricordo. Tutti noi che per lavoro ci si è trovati quella lunga estate (che comincia in primavera, delitto Salvo Lima 12 marzo, e si prolunga fino al per fortuna fallito attentato al commissario Rino Germanà, 14 settembre), abbiamo negli occhi le tremende scene che ci si sono presentate dinanzi in quelle ore. Indimenticabili.
Enrico Bellavia, da par suo ricostruisce la strage di via D’Amelio e quello che ne è seguito: la “grande impostura”. Come si legge nel sommario, dopo l’uccisione di Borsellino: «Colleghi e investigatori inscenano il gigantesco depistaggio».
Colleghi e investigatori. Dito puntato in particolare sull’allora capo della procura di Caltanissetta Giovanni Tinebra, e sul prefetto Arnaldo La Barbera; peccato siano morti; “l’Affaire” Vincenzo Scarantino è soprattutto farina del loro sacco? Non solo, evidentemente. Infatti, Bellavia aggiunge «Schiere di Pubblici Ministeri, anche di esperienza, non capiscono nulla. I dubbi se li hanno, li tengono per loro. Al massimo scrivono una nota a futura memoria per pararsi. Non sollevano alcun caso pubblico neanche quando dopo le ritrattazioni di Scarantino che si pente di essersi pentito e poi si ripente, 11 innocenti finiscono al 41 bis e condannati per una strage di cui non sanno nulla. A fermare PM e giudici abbindolati da La Barbera e dai suoi soci non serve constatare che la storia del furto della 126 fa acqua da tutte le parti…».
Chi è che si para a “futura memoria”? Ilda Bocassini, per caso? Lei su Scarantino aveva messo in
guardia subito. L’abbia pure fatto in una nota, non era sufficiente a magistrati “anche di esperienza” per coltivare qualche dubbio? Comunque non era una nota la lunga intervista rilasciata dall’avvocato Rosalba Di Gregorio ad Andrea Marcenaro per Panorama (Quel pasticciaccio orribile di via D’Amelio). Certo Di Gregorio difendeva dei mafiosi di rango; ma la denuncia c’era tutta.
Nel luglio 2017 la figlia del magistrato ucciso, Fiammetta, a Felice Cavallaro del Corriere della Sera annuncia che consegnerà al Consiglio Superiore della Magistratura «inconfutabili atti processuali dai quali si evincono le manovre per occultare la verità sulla trama di via D’Amelio…Questo abbiamo avuto: un balordo della Guadagna come pentito fasullo e una procura massonica guidata all’epoca da Gianni Tinebra che è morto, ma dove c’erano Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo…Mio padre fu lasciato solo in vita e dopo. Dovrebbe essere l’intero Paese a sentire il bisogno di una restituzione della verità. Mi sembra un paese che preferisce nascondere verità inconfessabili… Nessuno si fa vivo con noi. Non ci frequenta più nessuno. Non un magistrato. No un poliziotto. Si sono dileguati tutti. Le persone oggi a noi vicine le abbiamo incontrate dopo il ’92. Nessuno di quelli che si professavano amici ha ritenuto di darci spiegazioni anche dal punto di vista morale».
Per la cronaca: il Giudice per l’Udienza Preliminare di Messina ritiene di archiviare le indagini su Palma e Petralia, indagati per calunnia aggravata (l’ipotesi, poi rigettata, è aver costruito insieme a La Barbera il falso “pentito” Scarantino). I PM sono da ritenere innocenti. In quanto al dottor Di Matteo lui non viene neppure preso in considerazione perché, si dice, giovane, appena arrivato. Solo loro tre a “non capire nulla” (oltre, evidentemente, i magistrati dei vari collegi giudicanti). E la benevola inerzia del CSM?
I PM hanno esperienza, ma al tempo stesso non capiscono nulla, e si fanno “abbindolare”. Non male. Il giovane arrivato, che si trova per le mani la delicata inchiesta, Di Matteo, chiamato a deporre al processo “Borsellino quater” dice che nei primi interrogatori hanno creduto che le dichiarazioni di Scarantino fossero genuine. Solo dopo hanno intuito che fossero inquinate. Impagabile la delicatezza di quell’“Intuito”… Nel frattempo undici innocenti sono chiusi in carcere per quindici anni: fino alla deposizione del “collaboratore di giustizia” (vero) Gaspare Spatuzza nel 2008.
Nello stesso fascicolo de L’Espresso un intervento della figlia di Borsellino: «Nessuno può veramente credere che solo un manipolo di poliziotti abbia depistato le indagini sulla strage senza avalli e coperture da parte di chi ha orchestrato tutto. Senza connivenze di poteri istituzionali e della magistratura…».