Autonomia energetica. È un bel problema. Ma è diventata una questione di rilevante urgenza per l’Italia dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Servirebbe un altro Enrico Mattei per non dipendere più dalle forniture da Mosca alla Penisola. Mattei riuscì nel miracolo: subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale fu il protagonista della conquista dell’autonomia energetica, il motore della rinascita industriale italiana dalle macerie della disfatta.
Il boom italiano di 70 anni fa nacque anche dalla sua lungimiranza. Mattei morì ad appena 56 anni. Il suo piccolo bireattore, partito da Catania e diretto a Milano, precipitò a Bascapè, nella campagna alle porte di Pavia. Incidente o attentato? È rimasto un mistero. Per molti si trattò di un attentato opera delle Sette sorelle (le grandi compagnie petrolifere americane, britanniche e olandesi) o della mafia. Per qualcuno ci sarebbe addirittura lo zampino di entrambe.
Un fatto è sicuro: nel 1945 nominato dal governo italiano commissario straordinario per liquidare l’Agip non solo non chiuse l’azienda, ma la trasformò nel colosso pubblico dell’energia italiana. Il suo pallino era il metano e il petrolio da trovare ed estrarre nella Valpadana. Già nel 1945 ebbe una bella sorpresa dai pozzi 2 e 3 di Caviaga, vicino a Lodi. Nel 1949 arrivò lo strepitoso successo del giacimento di Cortemaggiore, nei pressi di Piacenza. Cortemaggiore fu una vittoria così straordinaria da essere immortalata perfino da un celebre motto pubblicitario: «Supercortemaggiore, la potente benzina italiana».
Fu l’apoteosi del “Cane a sei zampe”, il simbolo dell’Eni, il gruppo nato nel 1953 per la sua ferma volontà. Mattei trovò un fiume di metano e di petrolio prodotto a un costo basso. Concepì e realizzò l’intero ciclo produttivo: estrazione di idrocarburi, realizzazione di una rete di metanodotti, costruzione di impianti di raffinazione.
Aveva una visione sociale dell’industria, quella della sinistra democristiana. Si dotò di un quotidiano, Il Giorno, e di una agenzia di stampa, l’Agi, come strumenti giornalistici della sua politica. Amico di Fanfani, Vanoni, La Pira voleva un’industria energetica pubblica al servizio del paese. Lo appoggiò anche Alcide De Gasperi. La sua partecipazione alla Resistenza anti fascista nelle file dei partigiani bianchi rafforzò la sua caratura imprenditoriale e politica.
Spiccò il volo con l’Eni. Mattei volò all’estero, mise in difficoltà le multinazionali petrolifere concorrenti. Il presidente dell’Eni propose all’Iran, ai paesi del Golfo Persico, agli Stati africani una collaborazione economica al 50% per la produzione del greggio.
Ebbe un successo strepitoso, ma scatenò anche l’ira delle Sette sorelle. Raccontò un episodio relativo alla Tunisia. Voleva costruire una raffineria nel paese dell’Africa settentrionale ma le multinazionali si opposero. Spiegò: «Ebbi tutti contro. Americani, inglesi, francesi, belgi!». Ma non gettò la spugna: «Noi siamo dei poveri, abbiamo bisogno di lavorare…». Sfondò nonostante le tante difficoltà perché le sue condizioni paritarie per l’estrazione erano molto più vantaggiose per i paesi in via di sviluppo rispetto a quelle delle Sette sorelle.
Mattei aveva cominciato a lavorare da ragazzo come verniciatore in una fabbrica di letti a Matelica, il suo paese in provincia di Macerata. Poi si era trasferito a Milano e, piano piano, aveva costruito dal nulla una piccola azienda di successo. Ebbe sempre una grande considerazione per i lavoratori, per tutte le loro esigenze economiche e sociali. Mantenne questa impostazione anche da presidente dell’Eni. Voleva premiare direttamente i dipendenti. Nel 1955 consegnò personalmente una pergamena e una medaglia d’oro a mio zio Cesario Binelli, ragioniere, 43 anni di età, 25 anni di lavoro in azienda. Gli scappò una battuta: «Complimenti, lei è giovane, non anziano!».
Era un idealista con i piedi per terra. I suoi rapporti con i partiti politici erano ruvidi e su un piano paritario: «Uso i partiti nello stesso modo di come uso i taxi: salgo, pago la corsa, scendo». Realizzò l’autonomia energetica dell’Italia.