Mese nero per la magistratura. Lo sciopero del 16 maggio contro la riforma Cartabia, il primo dopo più di 12 anni, è stato un flop. A Milano hanno lavorato 6 magistrati su 10 e in Cassazione le astensioni sono state appena due su 10. Numeri impietosi, soprattutto se confrontati con il plebiscito del 2002, quando le adesioni allo sciopero raggiunsero l’80 per cento.
E non è finita, perché da qualche settimana in alcuni Tribunali cadono, una dopo l’altra, le tesi accusatorie di noti PM in processi dal grande clamore mediatico. Decine di politici, imprenditori e banchieri sono stati scagionati dai reati pesantissimi per i quali erano finiti sul banco degli imputati. In genere l’assoluzione è arrivata in appello, ma c’è stato anche chi – come il presidente leghista della Lombardia – non è andato nemmeno a processo. Dopo che il Gup, il Giudice dell’udienza preliminare (13 maggio a Milano) ha deciso il non luogo a procedere con un secco “il fatto non sussiste”.
Il governatore Fontana era accusato di frode in pubbliche forniture per il famoso “scandalo dei camici”. Una vera e propria bomba politica esplosa nel 2020 in piena pandemia, quando la Regione aveva affidato a una società del cognato di Fontana la fornitura, poi trasformata in donazione, di 75 mila camici per un valore di mezzo milione di euro. Quella dei camici comprati e poi donati resta comunque una storia mai completamente chiarita. Come altre vicende giudiziarie finite nel nulla dopo il “tana libera tutti” di cui stano beneficiando tanti ex imputati eccellenti.
Dalla Lombardia passiamo al Piemonte, per registrare l’assoluzione in appello di Chiara Appendino, ex sindaca Cinquestelle di Torino. In primo grado era stata condannata a 6 mesi per “falso”, con l’accusa di aver spostato di un anno l’inserimento nel bilancio comunale di un debito nei confronti di una azienda partecipata. Il PM aveva chiesto di aumentare la pena a 9 mesi. Ma ormai l’aria è cambiata.
Infatti oggi la direzione di marcia è esattamente opposta a quella che era stata tracciata dalle Procure dai tempi di Mani Pulite, quando bastava un’alzata di scudi di Borrelli e dei suoi PM per indurre il governo a cancellare un’amnistia già decisa o ad archiviare un provvedimento ritenuto urgente. Adesso, con il nuovo corso, è stato assolto anche l’intero vertice del Monte dei Paschi di Siena. Franato “il teorema Mussari”, sono cadute pure le accuse per una serie di grandi banche che avevano concesso a MPS i prodotti finanziari incriminati. Il problema è che alla fine il gigantesco buco scaricato sullo Stato dalla più antica banca italiana è diventato figlio di ignoti.
Ed eccoci al caso Fonsai (Fondiaria-Sai), il presunto sistema “fraudolento” che – secondo l’accusa – il colosso assicurativo avrebbe messo in piedi e per il quale Giulia Ligresti, la figlia di Salvatore, finì in carcere nove anni fa. Qui la storia diventa surreale, Giulia chiese il patteggiamento ma nel frattempo veniva assolta. E così il 10 maggio scorso la quinta Corte d’Appello di Milano ha deciso un risarcimento di 16mila euro per “ingiusta detenzione”. Mille euro per ogni giorno (16) di custodia cautelare passato in carcere. Una cifra molto alta, ma giustificata – si legge nella sentenza – dal «clamore mediatico dell’arresto». Parole che suonano come una pietra tombale e segnano la fine di un’epoca.