Ognuno faccia il suo lavoro in santa pace, senza disturbi “esterni”: i giornalisti di Report; la procura di Caltanissetta in relazione a quelli che crede siano i lati che ritiene ancora oscuri sulla strage a via D’Amelio; la Direzione Investigativa Antimafia mandata a sequestrare verbali, computer e cellulari. E pazienza se nel frattempo sono trascorsi trent’anni. Però qualche interrogativo, qualche perplessità, non guastano.
L’inchiesta di Report va in onda il 23 maggio. Appena trasmessa, la redazione e le abitazioni del responsabile e dell’autore dell’inchiesta, sono perquisite. Sigfrido Ranucci annuncia che «È in corso una perquisizione della Dia…Il motivo sarebbe quello di sequestrare atti riguardanti l’inchiesta di ieri sera sulla strage di Capaci nella quale si evidenziava la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato di Capaci. Gli investigatori cercano atti e testimonianze su telefonini e pc».
Figurarsi, una perquisizione non si nega a nessuno. All’ANSA Ranucci dichiara: «Da parte nostra c’è massima collaborazione. Siamo contenti se abbiamo dato un contributo alla magistratura per esplorare parti oscure. Il collega aveva già avuto un colloquio con il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca. Noi siamo sempre stati collaborativi con la giustizia, pur garantendo il diritto alla riservatezza delle fonti». Il decreto di perquisizione, aggiunge Ranucci, «riporta la data del 20 maggio, cioè tre giorni prima della messa in onda del servizio».
Conviene ricapitolare: l’autore dell’inchiesta, coscienziosamente, ha un colloquio con il procuratore. Di che cosa parlano, si può immaginare. Ovvio che il giornalista abbia chiesto delucidazioni sull’argomento che poi tratta nel servizio giornalistico per Report. Il procuratore del lavoro di Report ne sa abbastanza per disporre un ordine di perquisizione: finalizzata alla ricerca di documentazione relativa all’inchiesta ancora in corso sulla strage di via D’Amelio.
Nel comunicato diffuso dalla procura si legge che la perquisizione si giustifica col fatto che si vuole verificare la genuinità delle fonti di Report: «Non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta da tale giornalista, benché la stessa sia presumibilmente susseguente ad una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario…È necessario verificare la natura di tale documentazione… che presumibilmente costituisce corpo del reato di rivelazione di segreto d’ufficio relativo alla menzionata attività di altra autorità requirente».
Macroscopica fuga di notizie riguardante atti posti in essere da altro ufficio giudiziario…Si provi a immaginare la scena: un giornalista a colloquio con il procuratore. Poi viene firmato un ordine di perquisizione, eseguito tre giorni dopo non solo della fuga di notizie, ma dopo che queste notizie sono rese note al grande pubblico. Perché si attendono tre giorni? Per delicatezza e astuzia, forse. Perquisire prima sarebbe apparso un atto censorio, un tentativo di limitare il diritto/dovere dei giornalisti di cercare la verità. Un fair play, confermato dallo stesso Ranucci: «Noi siamo sempre stati collaborativi con la giustizia».
L’inchiesta di Report parla di un possibile legame tra estremisti di destra e mafia dietro le stragi, e il coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione di estrema destra “Avanguardia nazionale” e poi di “Ordine Nuovo”. Delle Chiaie è stato coinvolto nel tentato golpe Borghese, nei processi per le stragi di Piazza Fontana e della stazione di Bologna, assolto poi per insufficienza di prove.
Si ipotizza che Delle Chiaie abbia giocato un ruolo di congiunzione tra mafia e settori dello Stato nell’organizzazione delle stragi: per dare un “nuovo assetto” al paese. Ruolo che sarebbe stato al centro di indagini condotte da Borsellino, ucciso neppure due mesi dopo Falcone. Si ipotizzano collegamenti tra le indagini di Falcone e Borsellino, la strage a Capaci, l’estrema destra con la “copertura” della mafia del boss Totò Riina, il ruolo dei servizi segreti, i tentativi di introdurre nuovi soggetti politici in Sicilia, i depistaggi che ne sono seguiti… Un bel minestrone; e forse un po’ troppo ricco di peperoncino: fino a renderlo immangiabile. Ma questo lo valutino gli investigatori, è compito loro stabilirlo. La cautela comunque si impone: troppe volte si sono prese lucciole per lanterne e viceversa. Qui ci si limita a osservare che il chiamato in causa, Delle Chiaie, è defunto da qualche anno: non potrà né confermare, né smentire.
Al di là della vicenda. Si abbassano le luci sulla strage di Capaci, tra qualche mese si accenderanno quelle per l’uccisione di Borsellino. Chissà quali nuove rivelazioni, confidenze, “verità” ci attendono. Chissà se oltre a ricordarci che un’agenda rossa manca all’appello, verrà spiegato come e perché una quantità di magistrati, e non tutti alle prime armi, si sono fatti abbindolare, e per anni hanno dato credito alle dichiarazioni farlocche di un Vincenzo Scarantino, e condannato degli innocenti: ben 11 al carcere 41 bis, ritenuti responsabili di una strage mai commessa.
Un colossale depistaggio; un trappolone messo in essere da un poliziotto Arnaldo La Barbera; e fin da subito avallato dal capo della procura di Caltanissetta di allora, Giovanni Tinebra. Ci cadono come allocchi, si bevono tutto, nonostante evidenti incongruenze, e puntuali avvertimenti? Anche qui: peccato non poter ascoltare la versione dei presunti autori del trappolone: La Barbera e Tinebra sono morti da tempo.
Non suoni come provocazione: non resta che chiamare una veggente, e allestire una seduta spiritica. Magari prestando un’attenzione maggiore di quella prestata a suo tempo, per Gradoli…