Le udienze sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 stanno confermando le responsabilità di Donald Trump. Le interviste e i documenti resi pubblici dalla Commissione parlamentare d’inchiesta non lasciano molti dubbi.
Le audizioni pubbliche (sei in tutto) iniziate il 9 giugno scorso hanno confermato che l’attacco portato a Capitol Hill dai sostenitori di Trump rappresentò una vera minaccia per la democrazia Usa. E questo, alla fine, potrebbe spingere il Dipartimento di Giustizia a chiedere di processare il predecessore di Biden.
Prima però bisognerà dimostrare in maniera inconfutabile che Trump sapeva e – meglio ancora – che fu lui a coordinare la sommossa. Ma, come ha spiegato benissimo Domenico Maceri su ‘Sfoglia Roma’, il problema «va al di là della legalità».
Un’incriminazione potrebbe scatenare la piazza, perché l’ex presidente «rimane un uomo politico potente» e può determinare molte candidature repubblicane per le elezioni di mezzo termine che si svolgeranno l’8 novembre prossimo. Da qui l’assordante silenzio dei congressisti repubblicani sulle responsabilità dell’ex numero uno della Casa Bianca nell’assalto al Campidoglio e il fatto che solo due di loro hanno accettato di far parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sul tentato golpe del 6 gennaio 2021.
Comunque, anche i Democratici mostrano una certa cautela nei confronti del predecessore di Biden. E non per la sua, relativa, forza attuale, ma per l’eredità che lascia. Perché, piaccia o no, con l’aiuto dei social, l’ex tycoon è riuscito a dar voce alla parte marginale del Paese, a un’America estremista, incattivita, populista e schierata contro le élites. Realtà di cui per anni i progressisti non si sono occupati né preoccupati.
Realtà che sarebbe rimasta nell’ombra se non fosse arrivata Facebook e i gruppi social, permettendo a milioni di populisti di organizzarsi attraverso la Rete facendo a meno del vecchio sistema mediatico.
Populismo, crescita della destra e polarizzazione politica sono diventati così il grande problema di tanti paesi democratici. Problema purtroppo mai affrontato alla radice, ma sempre con qualche scorciatoia. Come quella italiana che ha messo Palazzo Chigi nelle mani di un tecnico come Mario Draghi. Oppure come l’invenzione francese di Macron e del suo partito neocentrista. Che non era né di destra né di sinistra e adesso, perduta la maggioranza in Parlamento, dovrà fare i conti con l’estrema destra di Marine Le Pen e con la sinistra del vecchio Mélenchon.
Intanto negli Usa, Joe Biden, che non brilla nei sondaggi ed è alle prese con mille problemi, continua a dover fare i conti con la destra populista. Al punto da non potersi permettere di far incriminare Donald Trump per l’assalto a Capitol Hill.