L’anno scorso, di questi tempi, ai vertici dei paesi europei appena usciti dalla pandemia si parlava solo di clima e della pioggia di fondi del Recovery plan.
Adesso l’agenda UE risulta sconvolta dalla guerra in Ucraina e, al posto del clima, si parla delle centrali a carbone per far fronte ai tagli del gas russo. Quanto ai miliardi del PNRR, rischiano di essere ingoiati dall’esplosione dei prezzi dei combustibili e da un’inflazione fuori controllo. Il picco potrebbe arrivare dopo l’estate. C’è il pericolo di un inverno al freddo, di molte industrie paralizzate e di una pesantissima recessione economica.
Da qualsiasi parte la si guardi, la guerra tra Russia e Ucraina, sembra ormai destinata ad avere ripercussioni sempre più pesanti anche dentro i confini dell’Unione. A peggiorare la situazione, c’è poi il fatto che a Bruxelles non sembrano in grado di rimettere in carreggiata la macchina politico-burocratica della Commissione.
Ogni volta che c’è da prendere una decisione importante, la proposta presentata in Consiglio viene regolarmente bloccata dal veto di questo o quel paese aderente. Perché –come è noto– per far passare una risoluzione ci vuole l’unanimità. Come se non bastasse, regole, protocolli e regolamenti in vigore a Bruxelles rendono spesso impossibile una gestione rapida ed efficace delle crisi aperte dalla guerra di Putin.
E così si rinvia da un vertice all’altro il problema del tetto ai prezzi di gas e petrolio o l’ennesimo pacchetto di sanzioni, che poi – come si sa – non servono a molto. Anzi, nel caso della Russia siamo arrivati al paradosso che a tagliare le forniture adesso non sono i Paesi dell’Ue ma Putin, che in questa maniera risparmia sulle esportazioni di gas, fa aumentare il prezzo e si paga la guerra.
Ma siccome bisogna pur raccontare al mondo che la UE è forte e vincerà la sua battaglia con Mosca, ecco annunci, veline e dichiarazioni trionfalistiche. Come la svolta “storica” della concessione all’Ucraina dello status di “candidato” all’adesione. Ripresa con grande rilievo dall’intero sistema mediatico, si tratta solo di una “promessa” perché l’entrata di Kiev nell’Unione europea richiederà anni. La decisione del Consiglio europeo è servita però a far imbufalire i leader dei sei paesi dei Balcani da anni in lista di attesa per l’adesione e che adesso si ritrovano scavalcati dall’Ucraina. Tra l’altro uno Stato in guerra, dove – tra l’altro – è in vigore la legge marziale.
Allora forse, a questo punto, è arrivato il momento di pensare a una profonda riforma delle regole e dei meccanismi comunitari. Ma per farlo bisogna prima mettere la sordina a trombe e tamburi, lasciando perdere la comunicazione surreale. Quella che per settimane ha accreditato una possibile vittoria militare di Kiev contro Mosca. Quella che continua a recitare il mantra di una UE compatta a fianco di Zelensky, e schierata dal “lato giusto” della storia …