«Bisogna essere in grado di creare un’offerta turistica che va oltre la stagione estiva. Nei mesi più caldi l’isola è già strapiena e non può fare di più, soprattutto se non si investe in infrastrutture che permettono di far crescere anche località lontane da porti e aeroporti». È quanto sostiene Stefano Tunis, consigliere regionale e fondatore di Sardegna20Venti.
Cosa è cambiato nell’isola rispetto allo scorso anno?
I flussi esteri e si sente l’assenza del turista russo. La guerra ha influito sulla nazionalità di chi viene a visitare la Sardegna. Siamo tornati, comunque, ai livelli di presenze che c’erano prima del Covid.
Cosa è successo, invece, per quanto riguarda i costi?
C’è un fenomeno inflattivo che tocca anche i costi industriali dei vettori e dei servizi. Ciò ovviamente ha ricadute sui turisti. Chi si deve, poi, occupare pure di trasporti e infrastrutture, è normale che in questo particolare periodo abbia ancora più difficoltà.
Un problema che incide soprattutto sul turismo isolano sono i disagi avvertiti per i ritardi e le cancellazioni dei voli…
È difficile pensare che quando il costo dell’energia sale così tanto, tutto possa restare invariato rispetto allo scorso anno. Questa, purtroppo, è solo una parte dell’epilogo. Ciò non toglie che la Sardegna resta tra le mete preferite. Registriamo un carico antropico che è al limite della nostra capacità recettiva nel periodo estivo.
Qualcuno dice, però, che le spiagge a numero chiuso rischiano di rendere la Sardegna una meta solo per ricchi…
La Sardegna offre soluzioni sia per chi può spendere cifre fuori dall’immaginazione dei comuni mortali, ma anche la possibilità di soggiornare a famiglie e persone normali perché offre servizi che in altre destinazioni non sono gratuiti.
Per migliorare i servizi, però, serve manodopera. Pensiamo, ad esempio, all’emergenza camerieri, provocata come dice qualcuno dall’introduzione del reddito di cittadinanza…
Il problema dell’assenza dei lavoratori nei settori del turismo e dell’edilizia ha radici molto più profonde. L’Italia ha scelto nei primi anni Novanta di non essere più un Paese che puntava sull’industria, ma nei servizi. Ecco perché servivano maggiori investimenti in termini di capitale umano. Oggi paghiamo il prezzo di quegli sbagli.
Se ci sono isole che ogni anno crescono, come Ibiza e Mykonos, la Sardegna, pur restando tra le mete più apprezzate, perché ha difficoltà a espandere la propria offerta?
Stiamo parlando di realtà diverse, con caratteristiche morfologiche differenti rispetto alla Sardegna. La nostra infrastrutturazione dal punto di vista dei porti e degli aeroporti, penalizza chi è a una certa quantità di chilometri dal punto di arrivo. Di conseguenza non si può considerare la Sardegna un fenomeno paragonabile a una realtà produttiva tutta quanta accorpata. Siamo diffusi su un territorio vastissimo, con una quantità di costa enorme, con tanto da scoprire e visitare all’interno. Serve, quindi, altro. Una strada, ad esempio, è poter offrire una possibilità di visita che va oltre il periodo dedicato alle vacanze. È inutile immaginare di avere un carico antropico ancora superiore nel momento in cui la Sardegna è già strapiena.
Cosa può fare la politica?
Innanzitutto sapere dove è il problema. La Sardegna ha iniziato a riscrivere anche la propria storia che non è più solo quella dei nuraghi, ma ha radici molto più profonde. Gli enormi risultati sulla ricerca archeologica lo dimostrano. Esiste, quindi, la possibilità di attrarre un mondo di visita più articolato rispetto all’attuale. Portare in giro per il mondo una storia millenaria, come riconosciuto anche da Israele la scorsa settimana, è la chiave per l’estensione del nostro periodo di visita.
A livello nazionale, intanto, chi governa non sta attraversando un periodo certamente semplice. A suo parere esiste lo spazio per un terzo polo?
Esiste una cultura di governo che sa andare oltre questi steccati. Ci sono forze che sanno dimostrare di essere di governo anche quando sono all’opposizione. Ritengo che la grande lezione che sta dando la politica post Covid è che la divisione del mondo in due blocchi non funziona più. Sono vecchi sentimenti. Lo spazio, invece, per trovare sintesi sulle questioni e non sul pregiudizio nei confronti degli altri trova cittadinanza in un elettorato più attento ai risultati che si sanno produrre. Non so se c’è margine per un grande centro, ma le possibilità saranno più alte se sarà inteso non come luogo politico, ma come modus operandi. Bisogna ritrovarsi per risolvere i problemi, non per vincere le elezioni.