Poltrone. La “guerra della poltrone” all’interno del M5S l’ha vinta Beppe Grillo: nessuna deroga alla regola del tetto dei due mandati parlamentari. Giuseppe Conte invece era favorevole a una deroga, anche ristretta, per concedere un terzo mandato.
Lo stesso presidente dei cinquestelle ha comunicato la decisione imposta dal fondatore del Movimento: «Non cambia» la regola dei due mandati, nelle liste elettorali non ci sarà «chi ha già svolto due mandati» alla Camera e al Senato. Così niente terzo incarico per gran parte del vertice dei cinquestelle: non potranno ricandidarsi il presidente della Camera Fico, la vice presidente del Senato Paola Taverna, i ministri Dadone e D’Incà, l’ex reggente Crimi, l’ex ministro Bonafede.
Grillo ha difeso a spada tratta il tetto dei due mandati dalle richieste di deroghe o mini deroghe reclamate da Giuseppe Conte e dai malconci gruppi parlamentari pentastellati, terremotati dalla scissione di Luigi Di Maio e dai mille addii precedenti.
Il presidente grillino puntava a spuntare un terzo mandato come eccezione superando la regola dei due incarichi popolari («Non è un diktat, ma lo spirito della regola sarà in ogni caso salvaguardato»). Indicava una esigenza politica: «In ogni caso non manderemo in soffitta chi per dieci anni ha preso insulti per difendere i nostri ideali». Adesso invece dovrà affrontare le elezioni politiche anticipate del 25 settembre senza i big nelle liste elettorali grilline della Camera e del Senato. Conte subisce un duro colpo: dovrà combattere la difficile sfida delle urne senza i dirigenti storici candidati (per di più i sondaggi elettorali gli attribuiscono appena un terzo del 32% dei voti conquistati nel 2018).
Grillo non ha voluto sentire ragioni. L’aveva proclamato pubblicamente: la regola dei due mandati va rispettata, è «un antibiotico» al professionismo della politica, è «la luce nella tenebra». La rottura è stata sfiorata per un soffio tra “l’Elevato” (come si è chiamato il comico genovese) e “l’avvocato del popolo” (come si è definito l’ex presidente del Consiglio). Grillo in una telefonata smentita da Conte avrebbe perfino minacciato di mollare tutto: «Se deroghi al secondo mandato dovrai fare a meno di me, lascio il Movimento 5 Stelle».
Sono fallite le febbrili trattative per trovare una mediazione. Come un anno fa è stata una sfida all’arma bianca su chi comanda nel M5S, o meglio, su ciò che ne resta dopo le tante disfatte elettorali e i tanti addii. Nel giugno del 2021 Grillo prima propose l’”avvocato del popolo” come presidente dei cinquestelle e poi l’attaccò ferocemente: Conte «non ha né visione politica, né capacità manageriali…né capacità di innovazione». L’ex presidente del Consiglio rispose a brutto muso: Grillo «deve decidere se essere un genitore generoso o un padre padrone». Alla fine tutto si risolse: i due contendenti ritrovarono l’intesa. Gli iscritti cinquestelle elessero Conte come presidente tramite lunghe e tormentate votazioni sulla Rete.
Il problema poltrone è un tema incandescente per un Movimento fondato sul rispetto delle regole e sull’uguaglianza (“uno vale uno”). Il braccio di ferro l’ha vinto il fondatore, il vero capo del M5S. Non ha voluto ripetere le tante marce indietro su tanti altri principi. La promessa di “mai alleanze” con i partiti tradizionali, ad esempio, si è trasformata invece in tre governi con tre maggioranze diverse (il Conte uno con la Lega, il Conte due con il Pd, il ministero Draghi con una coalizione di unità nazionale).
Grillo vuole recuperare l’originario spirito rivoluzionario anti casta, anti élite, anti sistema del Movimento. E su questo c’è l’intesa con Conte. Non a caso è stato il presidente pentastellato a innescare la crisi del governo Draghi dando nuovo fiato all’antica impostazione populista.
La “guerra della poltrone” dava troppo spazio anche alla concorrenza elettorale interna di Di Maio, divenuto un sostenitore di ferro delle riforme draghiane. Il ministro degli Esteri, ex capo del M5S, autore della scissione con la quale ha fondato Insieme per il futuro, parla e parlava della necessità di dare risposte ai problemi dell’Italia. E infieriva: «Certo non è un bellissimo spettacolo vedere forze politiche che si azzuffano al loro interno per qualche poltrona». Ora non ha più questa carta elettorale da giocare.