A un mese dalle elezioni, la previsione più accreditata è che il partito del non voto vincerà nettamente le politiche del 25 settembre. Per avere un’idea della valanga astensionista, basta andare su Twitter e seguire per un paio di giorni l’andamento dell’hashtag #iononvoto.
Si scopre così che dopo gli attacchi social contro i vaccini e la guerra, adesso il grande bersaglio è la tornata elettorale del 25 settembre. Con “motivazioni” tipo: «Votare questi partiti è umiliante», «Io non voto per dignità», «Chi vota è complice», e via di questo passo.
A spingere l’astensionismo nelle politiche sono – come è stato ampiamente dimostrato – soprattutto le disuguaglianze e l’avanzare del disagio economico – sociale. Ma adesso ad accrescere la sfiducia nei partiti e nei loro leader contribuisce anche il clima di questa campagna elettorale priva di contenuti. Con un dibattito politico di infimo livello, il trionfo della propaganda più sfacciata e l’assenza di una informazione degna di questo nome a fare da contrappeso. E così, a un mese dal voto, il risultato più probabile diventa la vittoria del partito del non voto, con una crescita esponenziale fra i giovani e le classi più povere.
Se a settembre si dovesse ripresentare il boom di astensioni delle comunali di giugno, il prossimo dato nazionale sfonderebbe la soglia del 30 per cento degli elettori. In termini assoluti 15 milioni di astenuti su 50. Rispetto ai votanti, la percentuale degli astenuti raggiungerebbe il 43 per cento. In crescita dal 1979 in tutto il Paese, l’astensionismo elettorale è comunque sempre maggiore nelle aree più arretrate del Sud Italia. Segnale evidente che la sfiducia nei partiti ha un legame molto stretto con l’odierna incapacità della politica di affrontare i problemi delle classi meno abbienti.
E così la disaffezione verso la politica aumenta di elezione in elezione e gonfia il numero degli astenuti. Il fondo è stato toccato nel corso del referendum sulla giustizia del 12 giugno scorso, quando si è presentato a votare appena il 20,9 per cento degli elettori.
Né ci si può consolare guardando fuori dai confini nazionali, osservando paesi di antica tradizione democratica come la Francia, dove ormai va a votare un elettore su due. Perché la crisi delle democrazie occidentali è un problema per tutti. La sfiducia nella politica alla fine dei conti alimenta solo il populismo. E, con i tempi che corrono, questo per l’Europa e l’Occidente può diventare perfino più pericoloso della guerra in Ucraina.