Vladimir Putin è sconfitto. Sul piano militare: le truppe russe hanno ripiegato con pesanti perdite da vaste zone occupate in Ucraina. Sul piano internazionale: nel vertice di Samarcanda perfino dagli alleati sono giunte critiche; la Cina gli ha chiesto di siglare una tregua con Kiev e l’India di porre fine alla guerra.
Sul piano interno: la decisione della “mobilitazione parziale” di 300.000 soldati di leva ha sollevato forti proteste in molte città russe represse dalla polizia con arresti di massa.
Anche la decisione dello “zar” di sostenere i referendum di annessione alla Federazione Russa di quattro province ucraine (Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia) suona come una sconfitta perché la popolazione vota sotto la minaccia dei fucili russi. Il G7 condanna «i referendum farsa», indetti dal 23 al 27 settembre, come tutti i paesi del mondo, compresa la Cina.
Putin è sconfitto, è in forte difficoltà. In sette mesi di guerra (ancora denominata “operazione militare speciale”) non solo non ha travolto con un blitz il governo di Zelensky ma subisce la controffensiva ucraina e il dissesto dell’economia russa per le sanzioni decise dall’Occidente. Così per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale la Russia proclama una “mobilitazione parziale” che per gli oppositori coinvolgerebbe un milione e non trecentomila civili giovani e meno giovani. La decisione ha fatto paura ai russi: è scattata una fuga di massa in aereo e in auto verso l’estero.
Per il presidente russo sono tanti i segnali del calo di consenso popolare. Lo “zar” cerca di reagire facendo leva sul nazionalismo. Alza la tensione: l’Occidente tramite l’Ucraina «sta facendo di tutto per disintegrare la Russia». Alza il livello dello scontro. Agita perfino l’uso catastrofico delle bombe atomiche se sarà minacciata «l’integrità territoriale del nostro Paese». Precisa: «Questo non è un bluff».
Seguendo il suo ragionamento: una volta vinti i referendum Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia diventeranno territori russi così un attacco verrà considerato diretto al suolo patrio, difeso anche dalle armi nucleari del Cremlino.
Siamo a un pericolosissimo snodo. Putin è sconfitto ma detiene un gigantesco arsenale di armi atomiche. Può causare una apocalisse in Europa e nel mondo. Serve grandissima attenzione. Quando un nemico è in un angolo occorre sempre lasciargli una via d’uscita per evitare reazioni disperate, inconsulte, letali.
La via d’uscita è il negoziato, un compromesso onorevole per arrivare prima a una tregua e poi a una pace. Si muove il Vaticano. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha incontrato a New York il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in una pausa degli interventi all’Assemblea Generale dell’Onu. Papa Francesco a più riprese ha chiesto la fine dell’invasione russa e la pace. Ha condannato il conflitto: la guerra è «un sacrilegio… fermatevi!».
L’Europa forse potrebbe ancora essere protagonista di una positiva mediazione. Si parla di una possibile iniziativa di pace di Macron e di Scholz. Il presidente francese e il cancelliere tedesco potrebbero avere un ruolo importante, potrebbero individuare una strada di dialogo mettendo da parte l’oltranzismo degli Stati Uniti. Joe Biden mentre fornisce armi a Kiev parla di pace ma fa poco per ottenerla. I paesi occidentali, in passato, hanno commesso gravi errori, tipo quello di allarmare Mosca con l’allargamento della Nato fino ai confini della Russia. Anzi, hanno anche lasciato spazio alle richieste dell’Ucraina di entrare nell’Alleanza Atlantica, una scelta inaccettabile per il Cremlino. L’Ucraina è un paese storicamente molto legato a Mosca: prima fece parte dell’Impero Russo e poi dell’Unione Sovietica.
Il presidente della Turchia Erdogan è riuscito nella difficilissima impresa di promuovere un accordo tra Mosca e Kiev per l’esportazione del grano ucraino. Erdogan è riuscito nella difficilissima scommessa di far firmare un compromesso pur governando la Turchia, un importante paese della Nato. Per l’Unione Europea è arrivato il momento di giocare un ruolo di alleato dinamico e autonomo degli Stati Uniti. È nell’interesse di tutti. Del resto l’Europa e la stessa America dialogarono perfino con Stalin, un feroce dittatore. La pace, la coesistenza pacifica, fa premio su tutto.