Giorgia Meloni sbanca. Il centro-destra diventa destra centro e vince le elezioni politiche con oltre il 43% dei voti. Il trionfo è di Giorgia Meloni: ha catalizzato il voto di protesta un tempo detenuto dal M5S di Grillo-Di Maio e dalla Lega di Salvini. Ha travolto il centro-sinistra sprofondato al 26% e il Pd di Letta al 19%.
È una vittoria strabiliante: Fratelli d’Italia, il partito post fascista da lei fondato nel 2012, diventa la prima forza politica italiana. Incassa il 26% dei voti mentre aveva ottenuto appena il 4,3% nel 2018 e nemmeno il 2% nel 2013. Per la prima volta è anche il primo partito dell’Italia settentrionale. Ha sottratto consensi soprattutto al Carroccio (in Lombardia e nel Veneto lo ha perfino doppiato). Ha realizzato una campagna elettorale mista: rassicurante e urlata: «Rivolterò l’Italia come un calzino».
Giorgia Meloni, 45 anni, con alle spalle una lunga militanza a destra (Msi, An, Pdl), era fiduciosa ma prudente alla vigilia del voto di domenica 25 settembre: «Il centrodestra avrà i numeri per governare…Ho fatto tutto quello che potevo». Il destra-centro vince grazie alla presidente di Fratelli d’Italia e grazie alla quota di seggi assegnati con il sistema maggioritario avrà la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento.
La Meloni sbanca. Alla guida di un partito di destra radicale, è riuscito il miracolo di moltiplicare per sei i voti di Fratelli d’Italia. Il segreto si chiama mezza opposizione o opposizione responsabile. Ha attaccato a testa bassa il governo di unità nazionale di Mario Draghi (comprendente gli alleati Salvini e Berlusconi) sul comportamento del presidente del Consiglio («Chiede i pieni poteri»), sulla politica economica e sociale (le misure anti Covid, il caro energia) ma ha appoggiato l’ex presidente della Bce nel sostegno all’Ucraina invasa dalla Russia.
Certo non mancano le contraddizioni. Si è dichiarata atlantista ed europeista respingendo le accuse di sovranismo ma ha anticipato l’intenzione di difendere con nettezza in sede Ue gli interessi nazionali dell’Italia come fa la Germania. Il primo braccio di ferro con Bruxelles sarà sulla revisione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e di resilienza) e sui migranti. Ha confermato la completa rottura di ogni eredità politica con la dittatura di Benito Mussolini ma ha rifiutato di togliere la Fiamma, già simbolo del Msi neo fascista, dal logo di Fratelli d’Italia. Ha difeso ogni forma di libertà e i diritti civili ma ha confermato la considerazione per Viktor Orbàn, il primo ministro ungherese sostenitore della “democrazia illiberale”.
Giorgia Meloni sbanca. Da tempo è in ascesa: ha macinato una catena di successi nelle elezioni amministrative degli ultimi anni. Annunciava: «Sono pronta a governare la nazione». È già andata al governo: è stata ministra della Gioventù nel quarto governo Berlusconi. Ma un conto è la direzione di un ministero, un’altra la guida di un esecutivo come presidente del Consiglio.
È consapevole della difficile prova se Sergio Mattarella le affiderà l’incarico di presiedere il nuovo governo. Più volte ha ripetuto: «Non sono né un mostro né un pericolo». In particolare ha puntato a rassicurare gli Stati Uniti sulla sua fedeltà alla democrazia e alle alleanze occidentali. È consapevole dei possibili rischi d’instabilità su un suo eventuale ministero, provenienti dalla sua stessa maggioranza: Salvini e Berlusconi sono usciti fortemente penalizzati dai risultati elettorali delle politiche. È consapevole dei dubbi esistenti in Europa su una sua corretta tenuta del bilancio pubblico in un periodo di crisi economica e sociale. Una prima riassicurazione, per evitare una esplosione dello spread causato da altro deficit pubblico, l’ha già data nelle scorse settimane: ha preso le distanze da Salvini quando chiedeva a Draghi un nuovo forte «scostamento di bilancio» per aiutare aziende e famiglie in difficoltà.
Giorgia Meloni deve anche affrontare i dubbi sulla affidabilità democratica del suo partito post fascista, esistenti in diversi paesi europei. Il primo avvertimento è arrivato dalla Francia. La prima ministra Elisabeth Borne ha ammonito: la Repubblica Francese sarà «attenta» al «rispetto» in Italia dei diritti umani e civili come quello all’aborto.