Una vittoria netta, indiscutibile. Giorgia Meloni, come da pronostici, è l’unica vera vincitrice della tornata elettorale del 2022. Il resto sono indagini sociologiche che, seppur corrette in molti casi, spesso rasentano percorsi troppo accidentati. È bene quindi che gli altri attori della politica nostrana ne prendano atto e si preparino ad una opposizione ferma, ma leale.
D’altronde i risultati elettorali degli ultimi decenni hanno dimostrato che non sempre sono i programmi e le promesse a fare la differenza, bensì le simpatie, la pancia, la delusione, il cambiamento del “proviamo pure questa!”. Di questi amori fugaci rivelatisi poi grandi delusioni, nel corso degli anni, ne hanno fatto le spese Berlusconi, Salvini, Renzi, Grillo/Conte…
Oggi sotto i riflettori tocca a Meloni e, senza malizia, speriamo le vada meglio! Ma l’abitudine di una faccia a rappresentare un partito, un’idea, una platea variegata, pur se riesce inizialmente a raccogliere consensi, alla fine logora chi ce l’ha messa. Si sono volute abolire le preferenze, la possibilità per i cittadini di scegliere chi votare lasciando alle gerarchie dei partiti decidere chi è “meglio per voi”, poi però sui manifesti elettorali si stampa un bel faccione con tanto di nome e cognome.
Altra certezza: il centrosinistra ha perso, ha perso malamente nella sua discesa verso il burrone, ha perso perché ha strappato le sue radici, si è fatta un bel maquillage nuovo nuovo e ha dimenticato le tante scarpe consumate dai suoi “antenati” nel battere palmo a palmo il territorio, nell’incontrare i cittadini, nel vivere e condividere i problemi della gente comune. La sinistra è divenuta da una parte elitaria, felice, finalmente di aver ricevuto gli inviti per i salotti bene e felice di un retaggio culturale che ormai non le appartiene più. Ma le apparenze, spesso contano più della realtà. La sinistra dall’altra parte è cieca a un mondo che cambia, legata soprattutto ai suoi “No” verso tutto e tutti.
In estrema sintesi: la Meloni conquista i quartieri poveri, popolari e operai in tutta Italia, la sinistra se la canta e se la suona tra i Parioli, San Frediano, Dorsoduro, Posillipo e via dicendo. Fino a dimenticare di mettere nero su bianco un programma credibile, un’idea di Paese e società che si proietti negli anni a venire, recuperando quelle radici che sono la sua storia, la sua collocazione in un mondo in continuo fermento.
C’è da recuperare quasi il 40% degli italiani che ormai regolarmente disertano le urne perché non sanno che votare, non si fidano più, sono nauseati da una politica che guarda solo il proprio quotidiano interesse. Se il prossimo congresso del Pd si limiterà a cambiare qualche nome non sarà successo nulla, se al contrario trovasse la forza di rifondarsi guardando nuovamente ai problemi reali, forse qualche speranza ancora esiste.
Va rivista la politica sociale, fiscale, sanitaria, salariale, pensionistica, rifondato il mondo dell’istruzione a cominciare dalla fatiscenza delle strutture (quasi tutte con problemi di abitabilità e sicurezza), eliminare una burocrazia che uccide le aziende e massacra i cittadini.
Come se non bastasse c’è la politica estera in una fase in cui gli equilibri di forza a livello mondiale si stanno rimescolando, c’è un problema reale di sovranità limitata a oltre 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. C’è la questione di un’Europa che non decolla e continua a funzionare solo di economia e finanza, un’Europa che non riesce neanche a far sentire il suo peso e la sua voce.
Il problema dell’unanimità nelle decisioni fa testo. Insomma o si rifonda l’Unione Europea in maniera concreta, in chiave snella e funzionale oppure il grido del perché si debba rinunciare alla propria sovranità diverrà urlo e ribellione. Riempirsi la bocca di Europa Unita non significa più nulla senza azioni, fatti concreti e reali, che abbiano conseguenze percepite da parte degli oltre 400 milioni di abitanti.