L’appoggio incondizionato di Biden a Zelensky sembra svanire. L’attentato al Ponte di Crimea e quello contro Darya Dughina hanno preoccupato molto il presidente degli Stati Uniti: potrebbero essere le micce per l’uso di una bomba atomica tattica da parte della Russia.
Biden ha guardato con grande allarme ai due clamorosi azzardi contro Putin dai connotati misteriosi: 1) l’esplosione che in parte ha demolito il Ponte di Kerch in Crimea, 2) l’omicidio di Darya Dughina, la figlia del filosofo ultranazionalista Alexander Dugin, nei pressi di Mosca. La confusione è molta. Mosca ha incolpato Kiev delle due azioni terroristiche mentre il governo di Zelensky ha smentito ogni coinvolgimento.
Il New York Times, giornale sempre molto ben informato, in definitiva ha dato ragione al Cremlino. Ha attribuito ai servizi segreti ucraini l’attentato contro il lunghissimo Ponte della Crimea, una grande opera voluta da Putin della quale lo “zar” è molto orgoglioso. Il più importante quotidiano americano, citando come fonte un funzionario di Kiev, ha scritto: sono stati i servizi segreti ucraini ad organizzare
l’attacco al Ponte di Kerch in Crimea (sarebbe stato utilizzato un autocarro imbottito di esplosivo). L’attentato, realizzato l’8 ottobre, in coincidenza con i 70 anni di Putin, ha un doppio rilevante risultato: 1) ha danneggiato i collegamenti tra la Russia e le zone del conflitto, 2) ha inferto un brutto colpo al prestigio dello “zar” che ha fortemente voluto il gigantesco Ponte di Crimea.
Sempre il New York Times, in un precedente articolo, ha indicato (su informazioni dei servizi segreti statunitensi) il governo di Kiev come il responsabile dell’omicidio di Darya Dughina (ad agosto è morta in una esplosione della sua auto). Il giornale, ascoltando le sue fonti, ha anche precisato: gli Usa «Non hanno preso parte all’attacco, né fornendo informazioni né altre forme di assistenza».
Per la prima volta Washington ha indicato possibili trattative. Antony Blinken, uno dei duri dell’amministrazione americana, ha parlato di negoziati con Mosca. Il segretario di Stato americano ha annunciato: il suo Paese è «pronto» a cercare una soluzione diplomatica con il Cremlino sulla guerra in Ucraina. Se e quando la Russia sarà seriamente disposta a dialogare, ha sottolineato Blinken, «noi saremo pronti. Noi ci saremo».
È una novità importante. Alla fine qualcosa si muove. Serghiei Lavrov annuncia la disponibilità a considerare un possibile incontro tra Putin e Biden. Secondo il ministro degli Esteri russo il colloquio potrebbe avvenire a novembre in occasione del G20 in Indonesia. Il presidente turco Erdogan prepara un altro faccia a faccia con Putin. In precedenza praticamente quasi solo Papa Francesco si era impegnato con determinazione per una tregua, per aprire un negoziato di pace ed impedire una guerra mondiale. Già, perché dal 24 febbraio, il giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, la tensione è diventata sempre più alta. Anzi, è diventata incandescente con il rischio della terza guerra mondiale, fatta a colpi di bombe atomiche. Putin ha accusato Biden di effettuare una guerra per procura contro la Russia tramite l’Ucraina, fornendo armi a Kiev e attuando sanzioni contro Mosca assieme agli altri paesi occidentali “ostili”. Lo stesso Putin ha evocato la possibilità di usare le armi nucleari se venisse messa in pericolo l’integrità e la sovranità della Federazione Russa.
Attenzione a due elementi: l’omicidio di Darya Dughina è avvenuto nei pressi di Mosca e il sabotaggio del Ponte di Kerch di Crimea è stato realizzato in una regione ucraina annessa alla Russia e considerata dal Cremlino territorio nazionale. Si tratta di due elementi rientranti nella dottrina russa di difesa del territorio nazionale anche a costo di usare l’arsenale nucleare. In più pesano le vittoriose controffensive dell’esercito ucraino contro gli invasori, hanno fatto salire alle stelle lo scontro politico e militare. Non a caso Biden ha sorpreso tutti dichiarando: il presidente russo «non scherza quando parla di un potenziale uso delle armi tattiche nucleari».
Putin appare sconfitto. Il presidente russo non è riuscito a travolgere Zelensky in pochi giorni con un blitz, anzi i contrattacchi ucraini stanno respingendo le truppe russe sia ad est sia a sud. I continui cambi ai vertici dell’armata russa dopo ogni ritirata non hanno portato risultati positivi così come la mobilitazione di 300.000 riservisti. I falchi del Cremlino, molto più oltranzisti di Putin, parlano di usare le bombe atomiche tattiche, chiedono la testa dei vertici militari e del ministro della Difesa Shoigu. Sotto traccia partono le critiche contro lo stesso Putin. Ogni tanto circolano strane voci di un colpo di Stato contro il presidente russo.
La risposta di Putin è brutale, militare. I missili e le bombe russe hanno colpito le città ucraine, le case e le infrastrutture civili come le centrali elettriche. Da nord a sud, da est ad ovest. Molti morti e tante distruzioni. Dopo molto tempo è stata colpito anche il centro di Kiev. Lo “zar” ha rivendicato i bombardamenti come la risposta agli «attacchi terroristici» compreso quello al Ponte di Crimea. Zelensky ha invitato i civili a riparare nei rifugi. Ha denunciato: così «il mondo ha visto ancora una volta il vero volto di uno Stato terrorista».
Si sta scaldando una enorme miscela esplosiva dalle possibili conseguenze catastrofiche non solo per l’Europa, ma per tutto il mondo. L’unica soluzione è un negoziato, una tregua, la pace come rimedio di tutto. Come incessantemente esorta Papa Francesco.