Di fatto il governo Meloni ha due ministri per l’energia: Gilberto Pichetto Fratin e Roberto Cingolani. Il primo, Forza Italia, è il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica; il secondo, ex ministro delle Transizione ecologica con Draghi, è il consulente (a titolo gratuito) dell’esecutivo di destra-centro per l’energia.
Non a caso i due sono andati insieme al Consiglio europeo sull’energia per cercare di portare a casa il tetto comune al prezzo del gas, una proposta già presentata a marzo da Mario Draghi e bocciata per l’ennesima volta sempre su iniziativa della Germania. Il tandem per l’energia è uno dei segni dello stretto legame tra la presidente del Consiglio e il suo predecessore tecnico a Palazzo Chigi. Tra Giorgia Meloni e Mario Draghi c’è simpatia e reciproca stima. Non a caso lo scambio di consegne a Palazzo Chigi è avvenuto tra sorrisi, strette di mano e grande cordialità. È un fatto raro; non è stato così, ad esempio, nello scambio di consegne tra Draghi e Giuseppe Conte.
C’è stato un lungo colloquio di un’ora e mezza tra la Meloni e Draghi. L’ex presidente del Consiglio ha informato dettagliatamente la presidente di Fratelli d’Italia sulle questioni più scottanti in sospeso, in particolare la guerra in Ucraina, la completa attuazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), il caro bollette di gas e luce. La presidente del Consiglio, chiedendo alla Camera il voto di fiducia, ha ringraziato il suo predecessore per aver «offerto la sua massima disponibilità per un passaggio di consegne veloce e sereno».
Da tempo c’è un clima di consonanza tra i due, pur da posizioni distinte. Draghi ha apprezzato l’opposizione responsabile realizzata dalla Meloni al suo governo mentre Salvini e Berlusconi, pur facendo parte dell’esecutivo, gli causavano un problema dietro l‘altro. Ai suoi collaboratori a Palazzo Chigi sembra che dicesse: «È leale lei».
Draghi, forte della sua grande credibilità internazionale, ha respinto i timori negli Stati Uniti e nell’Unione Europea sull’affidabilità democratica della presidente di Fratelli d’Italia, un partito post fascista. Ha respinto anche i dubbi sulla sua lealtà alla Nato e alla Ue. L’ex presidente della Bce (Banca centrale europea) si è speso molto. Ha assicurato dopo la vittoria elettorale della coalizione di destra-centro: «Non c’è preoccupazione» in Europa sul governo Meloni. Indiscrezioni parlano della sua determinazione di porre la Meloni nelle «condizioni di partire bene».
A Giorgia Meloni, forse non è un caso, sono giunti una valanga di auguri di buon lavoro dai governi di tutto il mondo e dai paesi occidentali. Soprattutto si sono congratulati con lei il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron.
Il fronte europeo è importantissimo. Il primo viaggio all’estero della presidente del Consiglio è a Bruxelles ai primi di novembre. Strette di mano e sorrisi anche se su energia e migranti molti dissensi restano. Commenta: «Sono contenta di come sia andata». La presidente della commissione europea Ursula von der Leyen la ringrazia per «il forte segnale» mandato con il suo viaggio.
Draghi Lord Protettore del governo Meloni. Sembra che si stia realizzando quanto previsto da Rino Formica. L’anziano e scoppiettante dirigente del Psi all’epoca di Bettino Craxi aveva vaticinato l’ergersi di Draghi come Lord Protettore della Meloni in un articolo pubblicato sul quotidiano Domani alla fine dello scorso agosto. Formica aveva indicato la necessità di fare i conti con «il metodo Draghi», cioè con «la capacità di mettere insieme la maggioranza con l’opposizione» per dare una risposta ai vincoli posti dall’Europa.
Un moderno Lord Protettore, precisava, «non è un dittatore ma uno che dà l’orientamento, il consiglio». Formica aveva stilato questa previsione dopo l’intervento dell’allora presidente del Consiglio al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. In quell’occasione aveva liquidato ogni ipotesi sulla nascita di un partito di Draghi da presentare alle elezioni, aveva predetto la sconfitta del Pd di Letta e la vittoria delle «destre». Draghi grazie ai suoi forti rapporti internazionali, sosteneva, avrebbe potuto svolgere con la Meloni il ruolo del «lord protettore moderno».
La presidente di Fratelli d’Italia nei mesi di campagna elettorale martellava «Siamo pronti a governare». Ora ripete l’affermazione da presidente del Consiglio.