«Non ci vogliono altre prove al di là degli incitamenti di insurrezione di un presidente» per capire la preoccupazione per i membri del Congresso, della costituzione e delle forze dell’ordine. Queste le parole di Nancy Pelosi, parlamentare della California e speaker alla Camera, mentre commentava l’aggressione al marito avvenuta recentemente. La Pelosi ha legato l’aggressione al marito ai comportamenti verbalmente bellicosi di Donald Trump. Da informazioni venute a galla si sa che l’assalitore cercava lei come ci confermano le domande insistenti dell’aggressore al marito su dove si trovasse “Nancy”.
Queste stesse domande furono fatte anche dagli insurrezionalisti al Campidoglio il 6 gennaio del 2021. La Pelosi era uno dei bersagli più ambiti dai riottosi che misero in pericolo la vita di tutti i parlamentari, senatori, e del vicepresidente Mike Pence, mentre si apprestavano a ratificare l’elezione di Joe Biden a presidente. La Pelosi ha continuato nelle sue dichiarazioni ringraziando le forze dell’ordine che salvarono la vita al marito. Ha però indicato la colpa per la violenza che sta diventando troppo comune come parte integrante del Partito Repubblicano. «Invece di istigare assalti a forze dell’ordine», ha continuato la Pelosi, «c’è da domandarsi dove sono i repubblicani responsabili» che incoraggiano la calma.
La Pelosi ha tutte le ragioni per additare il Partito Repubblicano dominato dall’ex presidente come responsabile per un clima di violenza che sta costringendo i parlamentari a spendere soldi di tasca propria per assumere guardie del corpo. Lo fanno alcune parlamentari democratiche come Alexandria Ocasio-Cortez, (New York), e Ilhan Omar, (Minnesota), bersagli favoriti di sostenitori dell’ex presidente. Gli attacchi a membri di famiglie bersagliate da questa violenza sono più pericolosi poiché i famigliari hanno raramente accesso a servizi di sicurezza.
La reazione dei repubblicani all’aggressione del marito della Pelosi include un mix di responsabilità ma molta strumentalizzazione. Mitch McConnell, senatore repubblicano del Kentucky e leader della minoranza al Senato, ha immediatamente condannato l’attacco. Kevin McCarthy, parlamentare californiano e leader della minoranza alla Camera, ha indugiato ma ha anche lui condannato l’aggressione. L’ex presidente Mike Pence, anche lui bersaglio di urla e minacce il 6 gennaio 2021 durante gli assalti al Campidoglio, ha anche lui condannato l’aggressione dichiarando la sua solidarietà alla famiglia Pelosi.
La stragrande maggioranza di leader repubblicani ha però usato l’attacco per segnare gol politici continuando le aggressioni verbali alla Pelosi. Kari Lake, candidata a governatore dell’Arizona e grande sostenitrice di Donald Trump, ha cercato di farne una barzelletta ricevendo gli applausi di un gruppo di sostenitori. Il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz ed altri attivisti di destra hanno suggerito che l’aggressione fosse dovuta a rapporti personali fra l’aggressore e il marito della Pelosi. Le autorità hanno smentito categoricamente confermando che si trattava di un’aggressione basata su ideologia politica dimostrata anche dai post social dell’aggressore. Persino Elon Musk, nuovissimo proprietario di Twitter, ha mandato un tweet in cui suggeriva rapporti sospettosi come causa dell’aggressione. Il tweet è stato subito rimosso senza però cancellare la macchia di tendenze politiche complottiste di Musk il quale ha già indicato che restaurerebbe l’account di Trump.
Trump da parte sua ha aspettato ma ha poi anche lui espresso insinuazioni che “cose strane” succedevano nella casa dei Pelosi. E poi non sono mancate le accuse che questi tipi di reati sono tipici di città sotto il controllo di governanti democratici.
Altri si sono rifugiati nella falsariga che la violenza è diretta ad ambedue i partiti. Hanno citato l’esempio di un sostenitore di Bernie Sanders, senatore liberal del Vermont, il quale sparò contro Steve Scalise, parlamentare repubblicano della Louisiana, durante una partita di baseball nel 2017. Hanno anche citato il caso del tentativo fallito dell’attacco al giudice conservatore Brett Kavanaugh nel giugno di quest’anno.
La realtà è però diversa poiché nessuno dei politici del Partito Democratico ha mai incoraggiato la violenza. Nel campo repubblicano, come si sa, il linguaggio violento e gli incitamenti alle aggressioni e intimidazioni sono state all’ordine del giorno con Trump. Vanno ricordati molto facilmente gli incoraggiamenti dell’ex presidente ai suoi sostenitori di prendere a botte i giornalisti ai suoi raduni spiegando che in caso di problemi con la giustizia avrebbe pagato le loro spese legali. Questi incitamenti alla violenza sono ovviamente stati confermati il 6 gennaio del 2021 quando gli assalitori del Campidoglio hanno attaccato agenti di polizia nel loro tentativo di bloccare con la violenza la ratifica di Joe Biden a nuovo presidente. Trump ha anche dichiarato che gli assalitori sono trattati malissimo dal sistema giudiziario e se diverrà presidente gli concederà la grazia.
Le elezioni di midterm sono alle porte e la possibilità di violenza è stata avvertita dalle forze dell’ordine incluso la Fbi. In sintesi il clima politico nel Paese è teso per i comportamenti di Trump e il relativo silenzio dei repubblicani che vedono le sconfitte alle urne impossibili da accettare e considerano le aggressioni utili strumenti per raggiungere i loro obiettivi politici. Vorrebbero un sistema in cui Trump potesse ritornare alla Casa Bianca rimpiazzando “l’usurpatore” Joe Biden. La violenza fa parte della mancanza di fede nel sistema democratico da parte dei repubblicani. Proprio recentemente Trump ha dichiarato che ammira il presidente Xi Jinping il quale è stato rieletto a vita considerandolo il re della Cina. È proprio quello che Trump vorrebbe per se stesso. Se i repubblicani continuano a vincere elezioni specialmente a livello statale continueranno a ridurre la democrazia cambiando leggi in modo che in America si abbiano elezioni dove solo loro possono vincere come avviene in regimi autoritari. Lo ha confermato il candidato repubblicano a governatore del Wisconsin Tim Michels. Ha detto in un recente discorso che se lui sarà eletto «i repubblicani non perderanno mai più» un’elezione.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.