Un tempo salivi su un autobus o un treno, molti passeggeri leggevano un giornale. Ora un quotidiano fatichi a trovarlo tra i rifiuti. Lo strumento di comunicazione e apprendimento, per farsi un’opinione ed esserlo anche, è uno smartphone, un computer. Tutto sembra aver valore solo se passa su Twitter, Facebook, Tiktok e altri luoghi virtuali: linguaggio rarefatto, che corrisponde a volte a un intorpidimento mentale, l’essere si misura a suon di like…
Così pensosi analisti descrivono e prefigurano il mondo in cui si vive. C’è del vero, naturalmente; anche se fortunatamente non è solo così, si sarebbe davvero immersi in quell’inferno di totalitarismo “dolce” prefigurato da George Orwell fin dal 1943 nel suo “Looking Back in the Spanish-Civil War”: «Un mondo da incubo, in cui il Capo o la cricca al potere controllano non solo il futuro, ma il passato. Se il Capo dice di questo o quest’altro: non è mai accaduto, bene, non è mai accaduto».
I rischi tuttavia ci sono tutti: un mondo reale con tutti i suoi enormi problemi, conflitti e contraddizioni; e un mondo virtuale in cui ci si rifugia, isolandosi come in una confortevole monade. Con il doppio pericolo: che non si sa bene chi controlla questa monade a cui ci si affida (il “Capo o la cricca al potere”); il pericolo molto concreto è scambiare il comodo “virtuale” perdendo di vista il più oneroso “reale”.
Per fortuna, come tutti gli ingranaggi, anche quelli più complessi e all’apparenza perfetti, basta un niente a farli saltare, metterli in crisi. In questo caso, la forse benefica crisi, è preceduta e si accompagna a un più che duro e difficoltoso ritorno alla realtà. Ci saranno dei conti da saldare, anzi già ci sono. Bocconi amarissimi: un contravveleno che da una parte può salvare, dall’altra può comportare conseguenze difficili da calcolare e controllare. Negli Stati Uniti e, a catena, in tutto il mondo.
Sono di attualità le “imprese” dell’umorale pluri-miliardario Elon Musk: acquista per una cifra iperbolica Twitter, uno dei maggiori giganti virtuali e subito realizza una cosa molto concreta: il licenziamento di migliaia di persone che mettevano insieme il concreto pranzo e cena (forse anche più di pranzo e cena), grazie al “virtuale”; ora si dovranno davvero misurare con il “reale”, senza conforti “virtuali”.
Non è un caso isolato. Le grandi società dell’Hi-Tech sono in crisi: si registrano vistosi cali di pubblicità, conseguenza della crisi economica che investe gli Stati Uniti (e non solo). La conseguenza sono raffiche di licenziamenti che colpiscono uno dei settori tecnologici più avanzati. Solo il tempo ci potrà dire se, come e quando ci saranno altri tipi di investimenti in grado di pareggiare i conti; soprattutto se i licenziati dai colossi del web saranno riassorbiti nel mondo reale.
Intanto si prenda atto che i mercati vivono lo stesso amaro momento del 2008: quello del crollo dei mutui sulle case, con conseguente sconquasso. La Silicon Valley non è più la terra promessa: dalla California, un tempo stato leader in grado di condizionare stili e modi di vivere dell’intera Unione, si fugge: per l’imposizione fiscale che opprime, per gli affitti esorbitanti, per un tenore di vita divenuto insostenibile; la parola d’ordine delle grandi società dell’“immagine” e dell’“apparire” (Facebook, Microsoft, Intel, Twitter, Snap, Netflix, Coinbase) è: tagliare, tagliare, tagliare: maxi-licenziamenti che inevitabilmente implicano una rivoluzione nell’organizzazione del lavoro delle società di Hi-Tech; più in generale impongono una ineludibile riflessione: le multinazionali del web sicuramente creano ricchezza (per pochi), ma posti di lavoro?
Musk intende privarsi del 50 per cento degli occupati in twitter, per via del vistoso calo di ricavi; abbandona Wall Street per diventare un’impresa privata senza vincoli di Borsa e avere le mani libere. È da credere che la stessa strada sarà seguita da Google (circa 150mila dipendenti) e da Apple (circa 154mila dipendenti). Apple prevede di produrre 3 milioni di IPhone in meno rispetto al target di 90 milioni, a causa dei ritardi nella fabbrica cinese di Foxconn. Le azioni Meta, dopo il licenziamento di 11mila dipendenti, sono crollate di oltre il 70 per cento. Dietro i nostri tweet, sms e chat, like e quant’altro di virtuale, c’è questa dura, concreta, poco attraente realtà. È un tiktok che bussa alle porte di tutti noi, per parafrasare John Donne e il suo “nessuno è un’isola”. Appunto, mondo virtuale, licenziamento reale.