Quanto sta venendo alla luce al Parlamento Europeo, con riferimento ai presunti casi di corruzione, richiama alla memoria un caso analogo, che risale ai tempi della Guerra Giugurtina (112-105 a.C.).
La Numidia era un protettorato romano, e Giugurta era coerede del trono di Micipsa assieme ai figli di questi, Aderbale e Iempsale. Giugurta aveva fatto uccidere Iempsale, e si preoccupava della reazione che il Senato di Roma avrebbe avuto nei suoi confronti.
Egli tramò per formare all’interno di quell’istituzione un gruppo di pressione che fosse disponibile e pronto a operare clandestinamente a suo favore. I suoi emissari avevano il compito di comprare, con elargizioni, qualsiasi aiuto possibile. Pertanto, distribuirono denaro, preziosi, e opere d’arte ai senatori romani più in vista, a partire dai vecchi amici, mirando a procurare nuovi amici. L’opera di corruzione ebbe successo e una “quinta colonna” entrò in azione nel Senato di Roma a favore di Giugurta.
Fin qui il parallelismo evocato in esordio. Il seguito della vicenda, però, è anch’esso molto interessante. Una crisi dinastica scoppiò in Numidia quando Giugurta fece uccidere Iempsale. Il Senato di Roma inviò in Numidia varie delegazioni per convincere Giugurta a comportarsi secondo le regole della correttezza, ma questi tentò con successo di corromperle.
I rapporti tra Roma e Giugurta cominciarono a cambiare quando Giugurta fece massacrare anche Aderbale e un’inerme popolazione. In quei terribili frangenti, anche alcuni mercanti e uomini d’affari romani e italici rimasero uccisi.
Quando la notizia della strage giunse a Roma, larghi strati della società romana — tra cui principalmente i ceti inferiori della plebe e il gruppo degli equites — insorsero contro il “criminale numida”, e il Senato uscendo finalmente dalla palude dei distinguo e dei rinvii, dichiarò guerra alla Numidia.
Nel corso del conflitto, Giugurta usò la corruzione come arma da guerra. Prima ottenne la pace a miti condizioni, poi continuò a corrompere vari ufficiali dell’esercito romano, e perfino un tribuno della plebe.
Le cose cambiarono decisamente con l’entrata in scena del console del 109 a.C. Quinto Cecilio Metello, futuro numidicus, un nobile appartenente a una famiglia senatoria e consolare di estrazione plebea, ricchissima e potentissima.
Cecilio Metello era un uomo incorruttibile. Diceva di non essere tentato dall’oro di Giugurta perché in lui dimorava il mos maiorum, “costume degli antenati”. La verità era un’altra: Metello era talmente ricco da non essere lusingato dall’idea di diventarlo di più. Inoltre, era troppo intelligente per legare la propria carriera politica e la propria fortuna personale a un uomo come il sovrano numida, che era stato così temerario da sfidare la potenza di Roma.
La guerra finì dopo che Metello era stato avvicendato nel comando dal console del 107 a.C. Gaio Mario, che aveva come vice Lucio Cornelio Silla. Giugurta fu catturato da Silla grazie al tradimento di Bocco, re di Mauretania, suocero e alleato di Giugurta. Il sovrano deposto fu tradotto a Roma, ornò il trionfo di Mario, poi fu riportato in carcere e vi fu abbandonato senza cibo né acqua. Morì di sete, una morte orribile.