1-Il Covid ha segnato uno spartiacque che ha messo in luce la vulnerabilità del servizio sanitario regionale. Una sanità pubblica in difficoltà che si vorrebbe seguitare a gestire riconfermando modelli e governances burocratiche dell’esistente, mettendo l’enfasi sulla sanità “tecnica”, mostrando di voler affrontare le criticità in modi riduttivamente organizzativistici.
La resilienza del Servizio sanitario pubblico si basa sulla sua sostenibilità. Una resilienza che va costruita attraverso un’ampia revisione programmatoria, più adeguate risorse umane e finanziarie e migliori risultati sanitari.
Il servizio sanitario del Lazio ha alle sue spalle una serie di errori e di mancate riorganizzazioni che la pandemia ha messo definitivamente in luce. Una situazione critica che nel triennio trascorso, anche per l’afflusso di importanti risorse finanziarie, poteva essere avviata in un percorso di riqualificazione, rafforzamento ed adeguamento alle mutate condizioni del quadro demografico e epidemiologico della comunità regionale.
Le pubbliche scelte dei soggetti istituzionali regionali non sono andate in questa direzione. Se guardiamo ad un importante driver di cambiamento della sanità, lo sviluppo delle tecnologie, l’impatto dell’innovazione pur avendo in parte innovato non ha interagito in modo pienamente soddisfacente sui modelli gestionali e sulle pratiche terapeutiche e chirurgiche. La leva della digitalizzazione è parte determinante dei nuovi modelli organizzativi sia ospedalieri che della medicina territoriale che si stanno prefigurando.
Come perseguire reti ospedaliere, integrate che condividano percorsi assistenziali tecnologie e risorse umane e rete territoriale in una logica di presa in carico del cittadino nelle diverse dimensioni assistenziali?
Nel Lazio si è passati da servizi di Asl in house, l’uno diverso dall’altro, a servizi in house della Regione quando per essere performanti servono piattaforme validate che facciano colloquiare fra loro i servizi sanitari regionali.
È evidente che l’incontro fra digitalizzazione e modello organizzativo esistente ha messo in discussione lo stesso modello. La digitalizzazione conduce a cambiamenti nell’erogazione dell’assistenza e con essa anche al cambiamento del modo di gestire nelle Asl.
L’efficacia dell’assistenza è legata alla possibilità di formare le capacità digitali necessarie a gestirla. La mancata programmazione di formazione e assunzioni a fronte dei fabbisogni del personale ci dà nel Lazio una sanità pubblica carente di personale, che da tempo non risponde alle richieste dei cittadini i quali si rivolgono, quando possono, all’intra moenia e al privato (fondi, assicurazioni ecc).
2-Manca un governo organizzativo del cambiamento, mancano più adeguati interventi sulle competenze professionali che sono due leve strategiche. La scarsa convinzione con la quale si affronta a livello nazionale la questione del finanziamento e della riqualificazione del SSN rende particolarmente difficile affrontarla a livello regionale.
Reinventare la sanità del futuro è ormai una esigenza avanzata da più parti mentre tendenze alla sostituzione del servizio pubblico con forme privatistiche riecheggiano negli interventi di diversi più che da un aperto confronto fra posizioni politiche.
La legge di bilancio 2023 non considera la spesa sanitaria come un investimento, le scelte di governo che non riformano il fisco, non combattono l’evasione fiscale, acuiscono le disparità in termini di equità, nel finanziamento del SSN e nell’accesso ai servizi sanitari. Se ne è lamentato in Parlamento perfino il senatore Monti. Le disparità aumenteranno con l’esercizio dell’autonomia regionale differenziata che recentemente il vicepresidente regionale Leodori ha affermato essere “un tema condiviso”.
Manca a livello nazionale un pensiero riformatore, manca una proposta di riforma che in altri momenti è stata oggetto di differenziazioni fra diverse forze politiche ma che oggi non è dato cogliere. Quello che non si vede anche nei candidati alla presidenza della Regione Lazio è la prospettazione di un proposta alternativa di cambiamento della sanità che, apprendendo la lezione del Covid, si connoti per ospedali sufficientemente flessibili sul piano organizzativo per intervenire prontamente negli scenari di rischio in caso di pandemia e per distretti sanitari forti per raccordare davvero tutti i servizi territoriali «baricentro del sistema, spostato dall’ospedale al territorio, centrato sulla conoscenza dei bisogni, preparato ad offrire risposte coordinate, continuative, globali rivolte innanzitutto al vasto mondo della “cronicità e della fragilità”» (CARD).
L’integrazione fra reti ospedaliere e reti territoriali attraverso l’interconnessione dell’annunciato riordino delle reti ospedaliere (tramite la revisione degli standard del DM 70) con il processo attuativo del DM/77 (di cui alle linee guida generali di programmazione degli interventi di riordino territoriale della Regione Lazio). Un dato da tener presente che non può essere affrontato separatamente e in tempi diversi.
Di queste problematiche ormai mature non vi è traccia nei propositi programmatici che si evidenziano nella campagna elettorale in corso dove prevale da un lato la difesa acritica del proprio operato e dall’altra un altrettanto generica affermazione di cambiamento.
La domanda di salute anche nel Lazio è in aumento in una collettività di diseguali anche per reddito percepito e per territorio di appartenenza, persone sempre più anziane e con pluripatologie croniche in costanza di risorse pubbliche scarse e di debito pubblico crescente.
Evasione ed elusione fiscale hanno pesato e pesano sul finanziamento della sanità e sulla sua sostenibilità economica. Le diseguaglianze nell’assistenza sanitaria e la non sostenibilità sociale del sistema sono nodi che le forze politiche non possono escludere dalla loro agenda elettorale rincorrendosi in una comunicazione vertente sui aspetti meramente organizzativi o su specifici aspetti carenti.
3-Nel Lazio non serve una manutenzione ordinaria per una stentata sopravvivenza del SSR. In specie serve attuare bene lo stato d’avanzamento della rete ospedaliera (D.G.R. GO1328/2022) più che annunciare l’apertura di nuovi ospedali che avverrà fra diversi anni, sapendo che gli standard di cui al DM70, riferimento della attuale riorganizzazione dell’esistente, saranno prossimamente oggetto di revisione unitamente a nuovi livelli essenziali di assistenza ospedalieri.
Servono innovazioni di rottura radicali per il rilancio del servizio pubblico e universale che è un pilastro della democrazia e della coesione sociale.
Tutto questo avendo a mente le due questioni fondamentali rappresentate dall’accesso ai servizi e dall’equità sanitaria. Al centro la presa in carico dei cittadini in un approccio di continuità assistenziale, gestionale e relazionale del cittadino con i diversi professionisti sanitari.
Se questo ancora accade dentro l’ospedale pubblico non accade per le filiere sanitarie e sociosanitarie convenzionate gestite largamente al 100% da una pluralità di soggetti privati portatori di specifici interessi che riconosciuti vanno tuttavia ricomposti in politiche di sanità e salute territoriali integrate.
Garantire a ogni cittadino l’accesso alle cure del medico di famiglia nell’arco delle 24 ore come obiettivo di politica sanitaria e non solo come componente del rapporto di lavoro medico da gestire. Equità sanitaria che va perseguita colmando le lacune che emergono dalle disparità sanitarie di trattamento che i cittadini ricevono quando effettuano l’accesso ai diversi servizi che da tempo necessitano di cambiamenti e di adeguamenti per poter dare risposte efficaci nei tempi necessari.
Due questioni fondamentali, l’accesso e l’equità sanitaria, che nel processo di ridisegno di una sanità e per tutti vanno riaffermati nella cornice costituzionale dell’universalismo e del ruolo primario del SSN.
Nel modello di emimercato sanitario come configurato nel Lazio va intanto recuperato il ruolo centrale e primario dello Stato, dei servizi sanitari pubblici, oggi squilibrato.
In una logica di programmazione regionale e di controlli efficaci la revisione periodica dei volumi e dei tetti di spesa (budget) nella ripartizione pubblico-privato dell’offerta di assistenza ospedaliera e territoriale aiuterebbe anche a fare il punto all’interno del complessivo Sistema sanitario. Cosa desueta da tanto tempo.
4-La lettura dei rendiconti finanziari, anche alla luce dei periodici rilievi della Corte dei Conti e dei “tavoli” dei ministeri “affiancanti”, evidenzia una politica sanitaria eseguita nel Lazio “a pezzi”, fuori da una logica di programmazione unitaria come anche modalità di contabilizzazione che nascondono le perdite d’esercizio annuali delle aziende ospedaliere lasciando forti dubbi sull’attendibilità dell’affermata sostenibilità economica del Sistema sanitario regionale.
Con il fine di assicurare uniformità del servizio di tutela sanitaria in tutto il Lazio, andando oltre piani operativi e linee-guida, la nuova consiliatura dovrebbe ripartire con la costituzione di una commissione del Consiglio che s’incarichi di portare in porto a breve il Piano Sanitario Regionale del Lazio.
Va messa mano ad una programmazione unitaria coraggiosa utilizzando le risorse finanziarie per la sua attuazione in un riequilibrio fra pubblico e privato che rappresenterebbe una prima inversione di tendenza di un trend di conservazione dei rapporti esistenti nel Sistema sul quale nel loro alternarsi, maggioranza e opposizione politica regionali, nei fatti si sono sostanzialmente sempre ritrovate.
È dirimente saper mettere insieme universalità, innovazione organizzativa e tecnologica riponendo come questione primaria anche il tema dell’umanizzazione delle strutture e nella relazione fra cittadino e servizi sanitari “non per curare la patologia ma per curare la persona”.
Rino Giuliani, Dipartimento Welfare Spi Cgil di Roma e del Lazio