Oscurata prima dal Covid e poi dalla guerra in Ucraina, la disuguaglianza tra ricchi e poveri non fa quasi più “notizia”, né viene evidenziata dai radar della politica per il grande pericolo di collisione sociale che rappresenta.
Peccato! Perché basta leggere gli ultimi dati della Banca Mondiale per capire che la disuguaglianza, insieme al clima, è diventata un’emergenza globale che non possiamo più ignorare. Una bomba inesorabilmente destinata ad esplodere, se i potenti della terra non si metteranno rapidamente d’accordo per disinnescarla. Un compito che tocca ovviamente alla politica. D’altronde sarebbe impensabile affidare una missione del genere ai signori del capitalismo nudo e puro dopo che la globalizzazione ha fallito.
Intanto, proprio come per il clima, anche per le disuguaglianze i segnali di rapido peggioramento sono evidenti. Negli ultimi tre anni, cioè nel breve arco di tempo segnato da due crisi globali come l’esplosione del Covid e la guerra nel cuore dell’Europa, i poveri sono diventati ancora più poveri, mentre i Paperoni del pianeta hanno aumentato i guadagni incrementando ulteriormente i loro cospicui patrimoni.
Dalle statistiche della Banca Mondiale emerge che l’1% dei più ricchi si è preso i due terzi dei 42 trilioni di dollari creati dall’economia dopo il 2020. Questo significa che ormai quell’1 per cento di Paperoni detiene il 38 per cento della ricchezza mondiale, mentre la metà della popolazione mondiale deve sopravvivere con il 2 per cento del denaro che resta. Una situazione esplosiva, ma anche un filo rosso, una chiave utile per spiegare tanti sommovimenti politico-elettorali, molte rivolte scoppiate in Paesi distanti su tante cose, ma accomunati dalla rabbia dei troppi che lottano per sopravvivere.
La crescita esponenziale della diseguaglianza ormai non risparmia nessuno. Pagare il conto di questa devastazione alla fine toccherà a tutti, senza più distinzioni fra democratici e autocrati, tra sovranisti e fautori del libero mercato. Nel frattempo osserviamo impotenti un capitalismo malato che non riesce a trovare un’alternativa alla globalizzazione. Come è parso evidente anche al termine dell’ultimo Forum di Davos.
Dopo due anni di sospensione, il ritorno del summit che dal 2003 riunisce l’élite mondiale dell’economia e della politica non ha infatti prodotto nulla di nuovo. Dalla cittadina asserragliata sulle Alpi svizzere non è arrivata alcuna risposta alla crisi in atto. Proprio come alcuni osservatori avevano previsto. Per il semplice motivo che il mondo globalizzato, voluto e sognato dai padroni del mondo riuniti a Davos, non esiste più.